13 novembre 2018

Iva restituita a seguito di accertamento: occorre presentare istanza di rimborso

Autore: Pasquale Pirone
Nel caso di IVA restituita al cliente a seguito di accertamento, si deve necessariamente presentare istanza di rimborso, oppure è possibile richiedere al cliente stesso l’emissione di una nota di variazione registrandola nei propri registri IVA e portandola in detrazione in sede di liquidazione periodica IVA (entro al massimo la dichiarazione IVA relativa al secondo anno successivo a quello del pagamento dell’IVA di rivalsa al cessionario/committente del servizio) ai sensi dell’articolo 60, settimo comma, del decreto IVA?

È la domanda cui l’Agenzia delle Entrate ha dato risposta ieri (Risposta n. 66/2018) in merito ad un’istanza di interpello avente ad oggetto il caso di una società (l’istante) che nel 2009 aveva concluso un contratto con un cliente per la vendita di un impianto. Tuttavia, a seguito di problematiche di avvio e di messa a punto del citato impianto, l’istante (società venditrice) aveva emesso regolare fattura nei confronti del cliente, il quale aveva provveduto al relativo pagamento come da accordi. Il cliente successivamente riceveva accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate con cui quest’ultima provvedeva al recupero ad imposizione dell’IVA di cui alla menzionata fattura, poiché riconducibile più ad un risarcimento danni riconosciuto dal venditore al cliente, invece che come corrispettivo per servizi ricevuti (la natura risarcitoria dell’importo, secondo l’Amministrazione finanziaria, era da ricondurre ad un’operazione fuori campo IVA, con conseguente illegittima detrazione IVA per il cliente). L’acquirente ha, quindi, a suo tempo, sottoscritto l’accertamento con adesione ed ha versato quanto definito oltre che sanzione ed interessi, pretendendo successivamente il rimborso dal venditore dell’IVA addebitata in fattura. A tutto ciò si aggiunge che il venditore ha regolarmente versato in sede di liquidazione l’IVA addebitata in fattura (a tal proposito, quindi, la società istante ritiene di aver diritto di ottenere la restituzione della somma pagata al cliente, in virtù di quanto previsto dall’art. 60, comma 7, del DPR n. 633/1972).

Cosa ne pensa l’Amministrazione – Secondo l’Agenzia delle Entrate, il venditore (ossia la società istante), nel caso in esame può presentare istanza di rimborso e non chiedere l’emissione di una nota di variazione all’acquirente, e ciò, in quanto la soluzione al caso è da ricercarsi, nell’art. 30-ter del decreto IVA e non nell’art. 60, comma 7, e ciò, in quanto, la disposizione normativa contenuta in quest’ultima norma “legittima il cedente/prestatore, chiamato a versare una (maggiore) IVA accertata relativa ad una operazione dal medesimo resa, ad esercitare il diritto di rivalsa nel confronti del cessionario/committente, una volta effettuato il pagamento dell’imposta dovuta, mediante l’emissione di una nota di variazione in aumento ai sensi dell’articolo 26, comma 1, del DPR n. 633 del 1972”, e nel caso in questione, l’acquirente non ha effettuato alcuna operazione fiscalmente rilevante ai fini IVA per cui ricorre l’obbligo di certificazione. “Né l’esercizio del diritto civile alla restituzione dell’IVA indebitamente corrisposta può essere documentato con fattura o nota di variazione”.

L’art. 30-ter, al comma 2, espressamente sancisce, invece, la possibilità per il cedente o prestatore di presentare la domanda di rimborso dell’IVA non dovuta, accertata definitivamente, entro due anni dalla restituzione, in via civilistica, al cessionario o committente. A tal proposito, l’Agenzia precisa che “per motivi di cautela fiscale e per evitare un indebito arricchimento del cedente/prestatore, il rimborso dell’IVA indebitamente versata è strettamente collegato alla restituzione al cessionario/committente di quanto erroneamente addebitato ed incassato a titolo di rivalsa” e che i due anni decorrono dalla data di rimborso dell’IVA a suo tempo applicata, in via di rivalsa, al cliente (la domanda va presentata presso la Direzione provinciale competente).
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