10 novembre 2018

L’irrecuperabilità del credito legittima la nota di variazione

Autore: Pasquale Pirone
Il presupposto per l'emissione delle note di variazione in diminuzione deve valutarsi non in astratto, ma secondo le circostanze del caso concreto, tenuto conto del principio comunitario di proporzionalità e del criterio di diligenza. E’ il principio affermato dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta n. 64/2018 emanata ieri in risposta ad apposita istanza di interpello. In particolare è trattato il caso di un ente pubblico nazionale che ha stipulato un contratto con altro soggetto, il quale è risultato responsabile di grave inadempimento nei pagamenti. L’ente, pertanto metteva in atto le procedure per il recupero del credito vantato ma tutte infruttuose per irreperibilità del soggetto debitore. L’istante, fa inoltre presente che i corrispettivi vantati sono stati tutti regolarmente fatturati e contabilizzati e che l’IVA addebitata a titolo di rivalsa ha partecipato alle liquidazioni e ai versamenti periodici. Inoltre, data anche l’impossibilità di sottoporre il debitore a procedura concorsuale per difetto dimensionale, e sussistendo elementi certi e precisi circa l’irrecuperabilità del credito scaturito, l’istante ha riportato una perdita su crediti deducibile ex art. 101, comma 5, del TUIR, pari al credito vantato. Tuttavia, con documentazione integrativa, l’istante ha anche precisato che la perdita su crediti non è stata ancora dedotta. Infine viene detto anche che la Guardia di Finanza, investita dall’Avvocatura distrettuale dello Stato (organi della Pubblica Amministrazione), ha dato atto dell’inesistenza di beni mobili ed immobili aggredibili, risultando così l’infruttuosità delle azioni di recupero astrattamente esperibili dall’istante.

Pertanto, evidenziando preliminarmente che il proseguimento di azioni esecutive comporterebbe un inutile aggravio di costi senza alcun proficuo risultato, l’istante chiedeva all’Agenzia delle Entrate se sia possibile emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26 del D.P.R. n. 633/1972, al fine di recuperare l’imposta versata e non incassata relativa al credito vantato.

Il parere – In primo luogo l’Agenzia, sottolinea quali sono i casi in cui si può parlare di infruttuosità nel recupero di un credito. In particolare, nel caso di pignoramento presso terzi, una procedura esecutiva individuale si considera infruttuosa quando dal verbale di pignoramento redatto dall'ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare. Nel caso di pignoramento di beni mobili, si configura infruttuosità, invece, quando dal verbale di pignoramento risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l'impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità. Infine, c’è infruttuosità anche nel caso in cui in cui, dopo che per tre volte l'asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità.

Quanto detto è stato previsto dal comma 126, della Legge n. 208/2015, il quale, dunque, non fa alcun riferimento all’antieconomicità della procedura esecutiva ai fini dell'emissione delle note di variazione in diminuzione di cui all’art.26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 (ai sensi del quale “se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25.”).

Secondo l’Amministrazione finanziaria, tuttavia, anche se in linea generale, non è possibile emettere note di variazione in diminuzione dell'IVA per antieconomicità dell'avvio della procedura esecutiva, essendo necessario dare prova di aver esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito senza trovare soddisfacimento, come anticipato in premessa, occorre valutare il tutto non in astratto, ma secondo le circostanze del caso concreto, tenuto conto del principio comunitario di proporzionalità e del criterio di diligenza e nel caso oggetto dell’istanza, pare che l’istante abbia diligentemente effettuato ripetuti tentativi di recupero del credito (sia a titolo personale, sia per il tramite dell’autorità giudiziaria) anche se tutti rimasti privi di riscontro per via della irreperibilità del debitore. Se poi a tutto ciò si aggiunge l’impossibilità di sottoporre a procedura concorsuale il debitore, l’Agenzia delle Entrate, dunque, giunge alla conclusione che il caso in esame è riconducibile tra quelli di cui al citato comma 126, della Legge n. 208/2015, “laddove è previsto che l’infruttuosità della procedura sia acclarata da un organo terzo e non rimessa alle valutazioni e determinazioni del creditore” (nel caso dell’istanza il tutto è stato constatato, come detto in premessa, dalla Guardia di Finanza). Ne consegue che, l’istante è legittimato all’emissione di una nota di variazione in diminuzione per il recupero dell’IVA addebitata a titolo di rivalsa andando da sé che la perdita su crediti deducibile ex art. 101, comma 5, del TUIR, andrà imputata al netto dell’IVA recuperata in detrazione mediante la citata variazione.
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