21 marzo 2018

La non imponibilità Iva delle operazioni di esportazione

Autore: Giovambattista Palumbo
Per configurare una cessione di beni non imponibile non è essenziale che vi sia la prova che il trasporto all'estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto, piuttosto, che vi sia la prova che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero.

Il caso - La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4408 del 23/02/2018, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di non imponibilità Iva delle operazioni di esportazione.

Nel caso di specie una società aveva stipulato un contratto di compravendita di beni mobili con una Srl, alla quale aveva altresì concesso l'esclusiva per l'esportazione dei propri prodotti in Albania e alla quale aveva versato un prezzo corrispondente al 50% di quello di mercato.

Il restante 50% del valore di mercato rappresentava, secondo la stessa società, il corrispettivo che essa si era impegnata a versare ad una società albanese, a titolo di royalties, per lo sfruttamento del proprio marchio in territorio albanese.

In occasione di ogni fornitura la società ricorrente fatturava quindi le merci alla Srl, ex art. 8, comma 1, del d.P.R. n. 633/72, in forza di una dichiarazione d'intento ed emetteva fatture nei confronti della società albanese per royalties.

Secondo l’Amministrazione Finanziaria il vincolo tra la società contribuente e la società albanese andava riqualificato come cessione di beni e non già come prestazione di servizi, da ritenere interna e per conseguenza imponibile, in ragione dell'avvenuta consegna in Italia delle merci e del fatto che la società albanese non poteva giovarsi di alcun titolo di non imponibilità.

L'Agenzia delle Entrate contestava dunque la natura della convenzione in ordine alle royalties, ritenendo che, in realtà, nascondesse una cessione di beni e negava rilevanza alla dichiarazione d'intento inviata dalla Srl, perché proveniente da un soggetto terzo, recuperando la relativa Iva. La società proponeva ricorso davanti alla CTP, la quale lo accoglieva con sentenza poi però ribaltata dalla CTR, che confermava la tesi dell’Ufficio.

Nel ricostruire i rapporti intercorsi tra le parti, il giudice d'appello affermava infatti che, in virtù di un unico contratto, denominato "contratto di fornitura e di distribuzione in esclusiva", la contribuente cedeva le merci, ai fini della commercializzazione in Albania, alle due società, italiana ed albanese, le quali assumevano dunque, entrambe, la veste di acquirenti.

E alle due acquirenti, poi, la stessa contribuente fatturava, ciascuna, il 50% del prezzo normalmente applicato agli altri operatori.
Le merci, tuttavia, rilevava ancora la CTR, risultavano consegnate in Italia alla Srl, che le esportava poi in Albania, fruendo del regime di non imponibilità, in qualità di esportatore abituale.

Nessun titolo per l'applicazione del regime di non imponibilità poteva, però, vantare la società albanese, in mancanza di prova di qualsivoglia prestazione di servizi resi alla società contribuente; né la società albanese si poteva giovare della dichiarazione d'intento emessa dalla Srl italiana, che si riferiva solo ai rapporti tra questa e la contribuente.
Contro questa sentenza proponeva infine ricorso in Cassazione la società.

La decisione - Secondo la Suprema Corte il ricorso, pur inammissibile in relazione a vari motivi di censura, era fondato per quanto riguardava la violazione dell'art. 8 del d.P.R. n. 633/72 e dell'art. 13 della L. n. 413/91.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che il regime di non imponibilità delle operazioni all'esportazione fuori dell'Unione europea risponde al principio dell'imposizione dei beni o dei servizi nel loro luogo di destinazione.

Ogni operazione all'esportazione, quindi, non è imponibile, al fine di garantire che essa sia tassata esclusivamente nel luogo in cui i prodotti considerati saranno consumati (v, da ultimo, sentenza Corte di Giustizia, 29 giugno 2017, causa C-288/16, «Le.» IK c. Valsts iegmumu dienests, punto 18).

Il regime di non imponibilità postula dunque che il potere di disporre del bene come proprietario sia stato trasmesso all'acquirente, che il fornitore provi che tale bene sia stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, esso abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (cfr Corte giust. 6 settembre 2012, causa C-273/11, Mecsek-Gabona kft; e, per la giurisprudenza interna, sia pure con riguardo alle cessioni intracomunitarie, Cass. 21 aprile 2017, n. 10114).

L'espressione "a cura" del cedente, contenuta nell'art. 8, 1° comma, lett. a) del d.P.R. n. 633/72, che traspone quella, corrispondente, "per suo conto", contenuta nell'art. 15, 1° comma, della sesta direttiva, e quella omologa contenuta nell'art. 146 della direttiva n. 2006/112, risponde in particolare allo scopo di evitare operazioni fraudolente, le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse decidere di esportare i beni in un altro Stato autonomamente, ossia al di fuori di un preventivo regolamento contrattuale con il cedente.

Conclusioni - Per configurare una cessione di beni non imponibile non è comunque essenziale, come sosteneva il giudice d'appello, che vi sia la prova che il trasporto all'estero sia avvenuto a cura e nome del cedente, quanto, piuttosto, che vi sia la prova che l'operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all'estero, nel senso che tale destinazione sia riferibile alla comune volontà degli originari contraenti (in termini, tra le più recenti, anche Cass. 17 luglio 2014, n. 16328; 25 giugno 2014, n. 14405).

Nel caso in esame, allora, la circostanza che la cessione di beni fosse avvenuta in favore di un acquirente estero, che la cessione fosse funzionale alla "commercializzazione" dei prodotti in Albania e che la Srl italiana, alla quale la merce era consegnata, provvedeva poi all'esportazione in Albania evidenziava, secondo la Corte, l'erroneità della statuizione della sentenza impugnata, che aveva escluso l'applicabilità del regime di non imponibilità solo perché, da un lato, l'esportazione in Albania non avveniva in nome e per conto della società contribuente e, dall'altro, il trasporto all'estero non era curato direttamente dall'acquirente non residente albanese.
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