L’Agenzia delle Entrate, ieri, ha fornito diversi chiarimenti riguardo al regime speciale per i lavoratori impatriati, con tre differenti risposte ad istanze di interpello. Dopo una breve analisi della disciplina, verranno esaminate le risposte nel dettaglio.
Il regime speciale per i lavoratori impatriati, introdotto dall’articolo 16 del
D.Lgs. n. 147/2015, è stato modificato dal c.d.
Decreto Crescita. Tali mutamenti, però, trovano applicazione dal periodo di imposta successivo a quello di entrata in vigore del decreto, pertanto dal 2020. Il regime in esame prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.
È un’agevolazione temporanea, applicabile per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia, e per i quattro periodi di imposta successivi.
Per accedere al regime speciale per i lavoratori impatriati, la norma presuppone che il soggetto non sia stato residente in Italia per un periodo minimo precedente all'impatrio e si impegni a permanervi per almeno due anni a pena di decadenza dall'agevolazione. Inoltre, ai sensi dell'art. 2 del
TUIR, sono residenti in Italia le persone fisiche che, per almeno 183 giorni, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le condizioni appena indicate sono fra loro alternative, pertanto, la sussistenza anche di una sola di esse è sufficiente a fare ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Usufruibile se il rientro in Italia del dipendente non si pone in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia - Nell’
interpello n. 492/2019 dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente istante è cittadino italiano, iscritto all’AIRE, distaccato in Francia per 2 anni, che rientra in Italia per lavorare nella stessa società presso cui prestava servizio prima della partenza, ma con una mansione differente. Pertanto, chiede chiarimenti in ordine alla possibilità di fruire dell'agevolazione prevista per i lavoratori impatriati.
I soggetti che rientrano in Italia dopo essere stati in distacco all'estero non possono fruire regime agevolato in considerazione della situazione di continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia. Tuttavia, tale posizione restrittiva non preclude la possibilità di valutare specifiche ipotesi in cui il rientro in Italia non sia conseguenza della naturale scadenza del distacco ma sia determinato da altri elementi funzionali alla ratio della norma agevolativa. Ciò si può verificare, ad esempio, nella ipotesi in cui:
- il contratto di distacco sia più volte prorogato e la sua durata nel tempo determini quindi un affievolimento dei legami con il territorio italiano e un effettivo radicamento del dipendente nel territorio estero;
- il rientro in Italia del dipendente non si ponga in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia; il dipendente, pertanto, al rientro assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione della maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all'estero.
Nel caso in esame, si osserva che il lavoratore al rientro in Italia assume un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario in ragione delle maggiori competenze ed esperienze professionali maturate all'estero. Pertanto, il contribuente istante potrà essere ammesso a beneficiare del regime degli impatriati, a partire dal periodo d'imposta 2019 e per i successivi quattro periodi d'imposta.
Usufruibile se nei 2 periodi d’imposta precedenti il trasferimento ha avuto la residenza in uno Stato con convenzione contro le doppie imposizioni - Nell’
interpello n°495/2019 la contribuente istante è una cittadina italiana residente in Irlanda da oltre sei anni, il cui contratto di lavoro all'estero avrà termine in agosto 2019 e prevede di rientrare in Italia a settembre 2019, acquisendo la residenza fiscale. Chiede se potrà usufruire del regime in esame.
Per quanto concerne l'individuazione della residenza fiscale fuori dal territorio dello Stato, la disposizione recata dal comma 5-ter, introdotto nell'articolo 16 del D.lgs. n. 147/2015, dal richiamato articolo 5 del DL n. 34 del 2019, prevede che:
"I cittadini italiani non iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui al comma 1, lettera a)" (ossia, nei due periodi di imposta precedenti il trasferimento).
Tali disposizioni tendono a comprovare il requisito della residenza all'estero anche secondo i criteri dettati dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d'imposta 2020.
Pertanto, laddove l'istante sia in grado di comprovare la residenza estera per gli anni di imposta 2018 e 2019 sulla base della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e Irlanda, e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti richiesti dalla disciplina, lo stesso potrà beneficiare dell'agevolazione fiscale a decorrere dall'anno di imposta 2020. Di conseguenza, i redditi percepiti dall'istante in Italia, nell'anno di imposta 2019, non potranno godere dell'agevolazione in esame in quanto soggetto non residente. Diversamente, i redditi prodotti prevalentemente in Italia per il periodo d'imposta 2020, in presenza delle condizioni sopra delineate, potranno invece fruire del regime agevolato in questione.
Usufruibile se la residenza all’estero si è protratta per almeno 2 anni - Nell’
interpello n. 497/2019 il contribuente istante ha svolto attività di lavoro dipendente in Norvegia nel periodo da luglio 2015 a gennaio 2018, trasferendovi la propria residenza, pur non cancellandosi dal registro anagrafico italiano. Nel mese di marzo 2018 è rientrato in Italia ed ha iniziato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Chiede se possa essere ammesso a fruire del regime speciale per i lavoratori impatriati anche in assenza del requisito dell'iscrizione all'AIRE.
Il comma 2 dell'articolo 16 del D.Lgs. n. 147/2015 non indica espressamente un periodo minimo di residenza estera, come, invece, previsto per i soggetti di cui al comma 1 del medesimo articolo 16. Considerato che il comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all'estero di due anni, si ritiene che per i predetti soggetti la residenza all'estero per almeno due periodi d'imposta costituisce il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l'accesso al regime agevolativo.
Qualora il periodo di iscrizione all'AIRE risulti insufficiente o detta iscrizione non risulti affatto, trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 5-ter inserito nell'articolo 16 del d.lgs. n. 147/2015.
A tal fine, si ritiene che tale disposizione trovi applicazione non solo per i soggetti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d'imposta 2020, ma anche per i contribuenti che hanno trasferito la residenza fiscale in Italia entro il periodo di imposta 2019. Con riferimento al caso di specie, laddove l'Istante sia in grado di comprovare la residenza estera per gli anni di imposta 2016 e 2017 e sempreché risultino soddisfatti tutti gli altri requisiti richiesti dalla disciplina potrà beneficiare dell'agevolazione fiscale in esame.