La Legge di Bilancio 2019 (
Legge n. 145/2018) ha introdotto un’imposta sostitutiva sui redditi da pensione di fonte estera che trasferiscono la propria residenza fiscale nel Mezzogiorno.
In particolare, i commi 273 e 274, dell’articolo 1, della suddetta legge, introducono un regime opzionale per le persone fisiche, titolari dei redditi da pensione, che trasferiscono in Italia la propria residenza in uno dei comuni appartenenti al territorio del Mezzogiorno (Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia), con popolazione non superiore ai 20.000 abitanti.
Tali soggetti possono optare per l'assoggettamento dei redditi di qualunque categoria, percepiti da fonte estera o prodotti all'estero, ad un’imposta sostitutiva, calcolata in via forfettaria, con aliquota del 7 per cento per ciascuno dei periodi d’imposta di validità dell'opzione.
In proposito, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, con un
approfondimento pubblicato il 30 maggio 2019, recante
“Bonus fiscali per l'incentivazione dei lavoratori impatriati”, ha offerto una disamina dell'evoluzione della normativa sulle agevolazioni connesse al cd. "rientro dei cervelli".
Tra gli ultimi provvedimenti in materia, infatti, il "Decreto Crescita" (
D.L. 30 aprile 2019, n. 34) prevede, a partire dal 2020, che l'agevolazione venga concessa per una durata massima di 10 anni ad una platea più ampia, che comprenderà lavoratori dipendenti, autonomi e anche imprenditori.
Inoltre, tale decreto amplia anche la portata del beneficio: l'esenzione fiscale per chi trasferisce la propria residenza in Italia sale, infatti, dal 50% al 70%, con un incremento che può giungere fino al 90% in alcuni casi previsti dalla norma. Dopo avere esaminato il dettato normativo e la fase transitoria prevista dal decreto, la Fondazione Studi si sofferma ad analizzare anche due casi di convenienza, simulando il risparmio d'imposta dei soggetti "impatriati".
La platea dei beneficiari ‘standard’ del nuovo bonus fiscale per impatriati
All’interno del summenzionato approfondimento, ci si sofferma, tra l’altro, sulla platea dei beneficiari, in quanto il Decreto Crescita ha semplificato i requisiti di accesso ai benefici fiscali riservati ai cd. “impatriati”, rendendo più accessibili le condizioni richieste rispetto alla previgente forma dell’articolo 16, comma 1, del
D.Lgs. n. 147/2015. Nel documento si propone, quindi, una tabella sinottica delle due versioni della norma (articolo 16, comma 1) di individuazione della prima categoria di beneficiari, prima e dopo gli interventi del D.L. n. 34/2019.
Facendo il raffronto tra le norme pre e post Decreto Crescita, si richiedono adesso solo 2 e non 5 anni di residenza estera prima del trasferimento in Italia, oltre all’impegno a mantenere la residenza in Italia per almeno 2 anni.
L’istanza di semplificazione ed allargamento della platea dei beneficiari – osservano i consulenti del lavoro – è ulteriormente amplificata dal successivo comma 5-ter, il quale dispone che, i cittadini italiani non iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE), rientrati in Italia a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019, possono accedere ai benefici fiscali di cui al suddetto articolo, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per almeno due anni.
In virtù del disposto sopra citato, dunque, il requisito di cancellazione dall’anagrafe del comune italiano di residenza e la contestuale iscrizione all’AIRE, viene superato e reso non più necessario.
Come prospettato nell’approfondimento in commento, quindi, nel caso in cui il lavoratore impatriato, per almeno due anni d’imposta (dunque per più di 183 giorni per ciascuno), sia risultato non residente fiscalmente in Italia o ai sensi dell’articolo 2 del TUIR o ai sensi dell’articolo 4 della Convenzione in analisi (che si basa anche su dove sia localizzata l’abitazione principale dell’impatriato, sul centro dei suoi interessi vitali etc.), potrà comunque godere dell’incentivo, sia in riferimento a quelli di nuova formulazione vigenti dal 2020, sia - limitatamente alla precedente edizione del bonus fiscale – per i soggetti che avevano anche già instaurato un contenzioso con l’amministrazione finanziaria, purché i relativi atti impositivi siano ancora impugnabili o già oggetto di controversie o comunque entro i termini di accertamento (5 o 7 anni).
Il biennio di permanenza nel territorio dello Stato – così come già precisato dall’Amministrazione Finanziaria - decorre dal periodo d’imposta in cui il lavoratore diviene fiscalmente residente e si esaurisce il 3 luglio del 2° anno di residenza fiscale italiana.
Qualora il lavoratore trasferisca prima dei 2 anni la propria residenza fiscale, l’articolo 3 del D.M. del MEF del 26 maggio 2016, ha chiarito che l’Agenzia delle Entrate provvederà al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi.
Per ciò che concerne il requisito riguardante il luogo in cui si presta l’attività lavorativa, con la nuova normativa - come precisa il documento in commento - per poter godere, in ciascuno dei 5 o 10 anni di lavoro in Italia, del beneficio fiscale, i lavoratori impatriati dovranno prestare la loro attività “prevalentemente nel territorio dello Stato”, quindi, per più di 183 giorni per ogni anno.
I consulenti del lavoro, infine, ritengono che possa essere applicata la tassazione agevolata per i redditi dagli stessi prodotti in Italia, mentre, si attendono chiarimenti dall’Amministrazione Finanziaria relativamente alla preclusione della tassazione agevolata per i redditi prodotti all’estero durante i giorni di trasferta.
L’approfondimento pubblicato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, si conclude con due esempi che si possono consultare nello stesso documento:
- esempio n. 1: impiegato settore industria con R.A.L. di euro 50.000,00;
- esempio n. 2: dirigente settore industria con R.A.L. di euro 120.000,00.