30 marzo 2018

Lettere d’intento fraudolente. Il fornitore in buona fede si salva dall’accertamento

Autore: Paola Mauro
Nelle ipotesi di comportamento fraudolento del cessionario esportatore abituale, è illegittima la pretesa IVA nei confronti del fornitore che risulta “in buona fede”. Si ricava dalla sentenza n. 81/13/18 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che ha confermato la decisione resa dai giudici provinciali di Varese, riguardo a un avviso di accertamento per IVA 2010 impugnato da una società esercente il commercio di autoveicoli.

La società in questione ha ceduto beni a un'altra società senza applicazione dell'IVA, previa dichiarazione d'intento ricevuta da quest'ultima, qualificatasi come esportatore abituale. Una verifica dell'Agenzia delle Entrate ha rivelato la falsità delle dichiarazioni d'intento e il loro essere preordinate a un meccanismo di evasione dell'Imposta. Da qui l’avviso di accertamento nei confronti della cedente, rea, secondo l’Ufficio finanziario, di non avere effettuato minime e ragionevoli operazioni di verifica della veridicità delle lettere d'intento; operazioni di verifica che sarebbero state più che sufficienti per avvedersi delle operazioni evasive.

I giudici di primo grado hanno annullato il recupero a tassazione, ritenendo la correttezza delle condotte tenute dalla contribuente. Alla medesima conclusione sono giunti i giudici di secondo grado alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza, sia nazionale sia euro-unitaria, sulla questione:
  • dell’ampiezza della responsabilità del fornitore, in caso di comportamento fraudolento del cessionario esportatore abituale (Cass. n. 19898/2016, n. 21956/2010, n. 7389/2012 e n. 13293/2013; CGUE Cause riunite C-80/11 e C-142/11).

In particolare, la Corte di giustizia europea ha sancito il principio per cui le conseguenze delle frodi fiscali perpetuate da terzi non possono riflettersi sul soggetto non consapevole della frode, salvo un onere probatorio circa il coinvolgimento nel meccanismo fraudolento gravante in primis in capo all’Amministrazione finanziaria.

Ebbene, la CTR meneghina ha ritenuto di poter escludere l'imputabilità dell'IVA in capo alla società contribuente, dimostratasi chiaramente estranea al meccanismo fraudolento posto in essere dai propri clienti dichiaratisi esportatori abituali.

E infatti – si legge in sentenza - «Ricevute le dichiarazioni di intento, la società appellata ne ha data comunicazione, ai sensi di legge, all’Agenzia delle Entrate, così da metterla in condizione di verificare la legittimità delle operazioni poste in essere da entrambe le (…) S.r.l. Ma non solo, in quanto la condotta diligente e l'estraneità del Gruppo … (cui appartiene la … S.p.A.) al meccanismo fraudolento sono chiaramente manifestate dall'ordine di servizio n. 8 del marzo 2011 in cui, evidentemente avvedutosi dei rischi di natura fiscale a fronte di lettere di intento false, il Gruppo ha invitato tutte le concessionarie a non effettuare cessione a sedicenti esportatori abituali, pur in presenza di dichiarazioni di intento. Questo ad evidente dimostrazione di un sentore di irregolarità delle condotte dei propri clienti - la cui piena conoscenza appartiene solo all’Agenzia delle Entrate, considerata la pluralità dei mezzi di indagine a disposizione della stessa - che in ogni caso non può nemmeno considerarsi intempestiva, essendo avvenuta l'anno successivo a quello in cui si sono verificate le operazioni oggetto di contestazione. Da ciò, dunque, la possibilità di escludere che la (…) S.p.A. fosse a conoscenza, nel 2010, delle finalità evasive perseguite dai propri clienti e vi abbia preso parte».

L’appello depositato dall’Agenzia delle Entrate, dunque, è stato respinto.

L’Amministrazione è stata condannata al pagamento delle spese di lite.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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