21 dicembre 2018

Malattia professionale da esposizione all’amianto: il datore deve risarcire il danno differenziale

Autore: Salvatore Cortese
Con la Sentenza n. 29401 del 15 novembre 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di malattia professionale - nel caso di specie, cancro da esposizione ad amianto - al lavoratore spetta il risarcimento per il danno biologico differenziale liquidato oltre l’importo della rendita Inail. Inoltre, nel caso in cui fra le parti sia intervenuta una conciliazione, questa potrà valere solo per i fattori conoscibili al momento della sottoscrizione e non per i diritti futuri ed eventuali, in quanto situazioni prive del requisito dell'attualità.

La vicenda muove dalla richiesta di risarcimento del danno biologico, conseguente a malattia professionale di mesotelioma pleurico causata da esposizione ad amianto, avanzata dai familiari di un dipendente deceduto nei confronti della società ex datrice di lavoro, alle cui dipendenze aveva lavorato dal 1965 come impiegato e poi sino al 1995 come dirigente, prestando le proprie mansioni a stretto contatto con le lavorazioni che utilizzavano coibentazioni in amianto.

Ebbene, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dalla società datrice di lavoro avverso la sentenza della Corte d’Appello che, respingendo l’appello della richiamata società, aveva riconosciuto legittima la richiesta dei familiari dell’ex dipendente.

In particolare, la società sosteneva di non dovere alcunché, a titolo di risarcimento, per sopraggiunta conciliazione transattiva, sottoscritta in sede di accordo sindacale in un momento antecedente rispetto alla diagnosi della malattia. Inoltre, si riteneva esclusa dalla legittimazione passiva essendo presente copertura assicurativa Inail.

Investita del giudizio, la Suprema Corte ha confermato la tesi del Giudice di merito secondo cui la responsabilità per inadempimento del datore di lavoro trova la propria fonte nell’art. 2087 c.c., secondo il quale “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Tale norma impone al datore di lavoro di adottare tutte le misure e le cautele necessarie a tutelare l’integrità fisica del lavoratore, anche quando non vi sia una specifica misura preventiva.

Secondo i Supremi Giudici, infatti, “l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 del d.P.R. n.1124 del 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, dì adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato”.

Sulla base di tale considerazione, detto principio vale anche con riferimento al c.d. danno biologico differenziale, che – a parola dei Giudici di Cassazione –va liquidato oltre l'importo relativo alla rendita INAIL, prevista dall'art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000”.

In sostanza, tenuto conto dell’entità del danno, la Corte ha ritenuto che il risarcimento dovuto dovesse essere ben superiore all’indennizzo corrisposto dall’INAIL e quindi integrato dalla Società.

Infine, in merito alla conciliazione sottoscritta dalla società in sede di accordo sindacale, secondo la Cassazione, la transazione può avere effetto solo in riferimento ai fattori conoscibili all'atto della conclusione dell'accordo conciliativo, “essendo precluse dall' accordo transattivo le situazioni prive del requisito dell'attualità. “(…) infatti una rinuncia preventiva a diritti futuri od eventuali è nulla, (…), dovendosi escludere che la conciliazione possa riguardare diritti non ancora entrati nel patrimonio del prestatore di lavoro.”
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