5 settembre 2018

No rimanenze sì induttivo

Autore: Gianfranco Antico
Ai sensi dell’art. 39, comma 2, del D.P.R. n.600/73, l’ufficio fiscale può determinare il reddito d'impresa e il reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni, in deroga alle disposizioni previste dal comma 1, del citato art. 39, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, in suo possesso, prescindendo in tutto o in parte dalle scritture contabili, e con facoltà di avvalersi di presunzioni semplici anche se non gravi, precise e concordanti, nelle seguenti ipotesi:
  • se il reddito d'impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
  • se dal verbale d'ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o a ha sottratto all'ispezione una o più scritture che era obbligato a tenere o se le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
  • se le irregolarità formali, le omissioni, falsità e inesattezze delle scritture risultanti dal verbale d'ispezione sono così gravi, ripetute e numerose da rendere inattendibili le scritture stesse nel loro complesso.


L'ufficio, inoltre, può ricorrere all'accertamento induttivo anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 ultimo comma del D.P.R. n. 600/1973, aggiunto dall' art. 25 L 18.2.1999 n. 28).
L’attività di controllo, unita ad una analisi sulle caratteristiche dell’attività svolta e sulle risultanze complessive delle scritture contabili, può permettere di evidenziare che la parte – in contabilità ordinaria – abbia indicato il valore delle rimanenze finali in maniera sintetica, quando invece nel libro inventari deve essere indicata la consistenza dei beni in categorie omogenee, per natura e valore, ed il valore attribuito a ciascun gruppo, ex art.15, comma 2, del D.P.R.n.600/1973 (né sono state messe a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell’inventario). Ovvero non ha tenuto il libro inventari. Per i soggetti in contabilità semplificata l’obbligo di indicare il valore delle rimanenze nei registri tenuti ai fini Iva o di fornire un prospetto dimostrante il criterio utilizzato per la valutazione delle stesse discende dall’art.18 del D.P.R.n.600/73 e dall’art.9, del D.L.n.69/89, conv. in Legge 27.04.89, n.154.

In assenza di libro inventari o in presenza di un libro inventari non correttamente tenuto viene riconosciuto all’ufficio il potere di procedere induttivamente, nella considerazione che le rimanenze per l’azienda in esame costituiscono il cd. tappo, il cui aumento o diminuzione comporta la diminuzione o l’aumento del reddito, facendo venire meno una della caratteristiche proprie della contabilità, sia ordinaria che semplificata.
Proprio in questi giorni, gli Ermellini, con l’ordinanza n.17785 del 6 luglio 2018, hanno ribadito che "In tema di imposte sui redditi di impresa minore deve ritenersi legittima l’adozione, da parte dell’ufficio tributario, ai fini dell’accertamento di un maggior reddito d’impresa, del criterio induttivo di cui all’art. 39, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, qualora il contribuente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo in contestazione abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze di esercizio e tale omissione incida sull’attendibilità complessiva della dichiarazione, salva restando la facoltà per il contribuente di documentare adeguatamente l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze”.

Infatti, “ In tema di imposte sui redditi dell’impresa minore, qualora il contribuente, in violazione dell’obbligo previsto dall’art. 18, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, abbia omesso di indicare il valore delle rimanenze a fine anno nel registro degli acquisti tenuto ai fini dell’I.V.A., deve ritenersi legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti tramite attribuzione al venduto di tutte le merci acquistate nell’anno, in difetto di adeguati elementi di prova, incombenti al contribuente, idonei a documentare l’effettiva sussistenza ed entità delle rimanenze” (Sez. 1, Sentenza n. 11601 del 08/11/1995).

Sul punto vale la pena ricordare la sentenza n. 5870 del 13 aprile 2012 (ud 15 marzo 2012), con cui la Corte di Cassazione ha rilevato che “in materia di determinazione del reddito d'impresa, atteso il principio di continuità dei valori contabili, per cui le rimanenze finali di un esercizio costituiscono esistenze iniziali dell'esercizio successivo e le reciproche variazioni concorrono a formare il reddito d'esercizio (C. 11748/08), è legittimo il recupero a tassazione dei ricavi, induttivamente ricostruiti, qualora il contribuente non ottemperi all'onere della specificazione delle rimanenze distinte per categorie omogenee di beni (C. 9946/03)”. Prosegue la sentenza affermando che “ la presenza d'irregolarità contabili tali da rendere inattendibili le scritture aziendali legittima di per sé sola l'adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso ad esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita, potendo l'amministrazione utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture e anche dati da queste emergenti (nella misura in cui risultino singolarmente affidabili), così come può servirsi, nel corso del medesimo accertamento, del metodo analitico, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (C. 27068/06)”.

La stessa Corte Suprema, con la sentenza n.16477 del 18 luglio 2014, nel confermare che il mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 15, comma 2, del D.P.R. n.600/1973, in ordine all’inventario delle merci, legittima l’accertamento induttivo, ex art. 39, comma 2, consentendo l’utilizzo di presunzioni prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, ha rilevato con chiarezza che “l'inventario e il bilancio costituiscono scritture contabili distinte, aventi contenuto e finalità diverse, ai sensi dell'art 15 del DPR n. 600 del 1973 e dell'art. 2217 del codice civile, ed alla cui redazione sono obbligati i soggetti indicati nel primo comma dell’art. 13 del citato DPR. Ne deriva che la violazione consistente nell'omessa o irregolare redazione dell'inventario non può ritenersi sanata, né resa meramente formale, dall'avvenuta redazione del bilancio” (cfr Cassazione 8273/2003). E in ogni caso non può supplire la nota integrativa, la quale, nel caso specifico, mancava del dettaglio delle rimanenze (la nota integrativa si limitava a prevedere “categorie di giacenze”, “senza alcuna specificazione circa le categorie medesime e la loro concreta articolazione”).
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