15 settembre 2018

Non sono accertabili ricavi in nero per lo scostamento dallo studio di settore o parametri

Autore: Redazione Fiscal Focus
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21295, del 29 agosto 2018, ha accolto il ricorso di un promotore finanziario nei confronti dell’Agenzia delle Entrate: per i giudici di legittimità a suo carico non sono accertabili ricavi in nero per lo scostamento dagli studi di settore/parametri.

Il contenzioso
L’Agenzia delle Entrate effettuava un accertamento ai fini Irpef, Irap ed Iva nei confronti di un contribuente esercente l’attività di promotore finanziario monomandatario, a seguito del quale venivano rideterminati i ricavi, sulla base dell’applicazione dei parametri determinati ai sensi dell’art. 3, comma 184, legge 28 dicembre 1995, n. 549 e dei D.P.C.M. 29 gennaio 1996 e 27 marzo 1997. Instaurato il contraddittorio con il contribuente, questi giustificava il predetto scostamento alla luce del particolare andamento del mercato mobiliare nel corso dell’anno di riferimento, che aveva determinato una riduzione di circa il 50% della raccolta netta, ferma restando l’impossibilità di ottenere ricavi “in nero” in considerazione della specifica disciplina del rapporto contrattuale intercorrente con l’istituto di credito e del vincolo di esclusività che lo caratterizzava.

Non essendo stati ritenuti rilevanti gli elementi di valutazione dallo stesso addotti, il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento.

La C.T.P. con sentenza del 2007, accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando i ricavi; i giudici di secondo grado della C.T.R. riducevano ulteriormente i ricavi imponibili accertati per l’anno 2001.
Avverso tale decisione il contribuente ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, sulla base di una serie articolata di motivazioni.

L’analisi della Cassazione
Con uno dei motivi di ricorso il promotore finanziario deduce l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia non avendo la C.T.R. valutato le specifiche caratteristiche dell’attività svolta dal contribuente, come dedotte e documentate, al fine di escludere la sussistenza dell’atto specie di omessa dichiarazione di ricavi contestata dall’Ufficio.
Per i giudici di legittimità il motivo è fondato.

Va premesso che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesamina e il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate.

Nella specie, va osservato che il ricorrente ha specificamente ribadito in sede di appello le circostanze già evidenziate e documentate con il ricorso introduttivo del giudizio, in relazione al fatto che il concreto svolgimento della sua attività di promotore finanziario monomandatario per conto di una nota Banca, in ragione delle peculiari caratteristiche del rapporto, caratterizzato da esclusività e retribuito mediante provvigioni liquidate sulla base di una percentuale predeterminata in sede di contratto ed in conformità alle risultanze dei registri obbligatori per la categoria, oltre che globalmente attestate dalla certificazione rilasciata a fine esercizio annuale dall’istituto mandante, avrebbe reso impossibile il conseguimento di compensi non dichiarati.

Per la Corte di Cassazione la C.T.R., tuttavia, nell’impugnata decisione non risulta avere in alcun modo esaminato tali profili fattuali, costituenti punto decisivo della controversia, facendo riferimento unicamente all’argomento, logicamente sottordinato ed utilizzato ai meri fini di una riduzione del quantum accertato, costituito dall’esistenza di una crisi finanziaria del settore. Nella specie, pertanto, risulta configurabile il vizio di motivazione omessa o insufficiente, posto che dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerge l’obiettiva carenza di valutazione di elementi potenzialmente conducenti ad una diversa decisione.

La C.T.R. al fine di giustificare la decisione di operare una riduzione dei ricavi imponibili, ha ritenuto innanzitutto dimostrata l’incidenza causale della crisi finanziaria internazionale sulla concreta attività svolta dal contribuente, senza, peraltro, fornire alcun supporto argomentativo a tale conclusione se non in termini sostanzialmente apodittici («poiché l’attività del ricorrente è di tipo finanziario, è verosimile che nel 2001 tale evento ne abbia prodotto una drastica riduzione»), e senza, parimenti, evidenziare alcun riferimento a specifici dati probatori quali fonti del proprio convincimento, con ciò omettendo di considerare le specifiche censure formulate dall’Agenzia proprio in ordine alla carenza probatoria sul punto. La decisione dei giudici di appello, nel quantificare le concrete conseguenze derivanti dall’influenza del predetto fattore causale ha finito per espungere, empiricamente, dall’ammontare complessivo dei ricavi risultanti dall’applicazione dei parametri la quota degli stessi ritenuta rapportabile al periodo 11 settembre 2001/31 dicembre 2001, assumendo, peraltro, come base di calcolo l’ammontare dei ricavi dichiarati nell’esercizio precedente, come se per tutto il periodo considerato, il contribuente non avesse percepito alcun emolumento; ciò senza fornire una congrua motivazione in ordine alle ragioni dell’individuazione del periodo preso in considerazione e delle modalità di determinazione dell’entità del quantum eliminato.

La Corte di Cassazione, in conclusione, accoglie il ricorso e rinvia la sentenza alla C.T.R. che in diversa composizione dovrà provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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