In tema di imposta sulla pubblicità, la Corte di Cassazione (
Sez. 5 civ., ord. n. 11461/2019) ha affermato che deve considerarsi nullo l’avviso di accertamento emesso a nome dell'“insegna” del punto vendita e non della Società che ne è titolare, anche nel caso in cui la notifica abbia raggiunto il suo scopo.
Il caso
Il giudizio ha ad oggetto un avviso di accertamento in materia d’imposta sulla pubblicità:
- il quale è stato intestato all’insegna1 di una gelateria invece che alla Società proprietaria della stessa;
- la pretesa azionata, poi, ha riguardato l’immagine di un gelato, priva di riferimenti al nome della gelateria e alle caratteristiche specifiche del prodotto dolciario, impressa su una vetrofania applicata su una vetrina dell'esercizio commerciale.
Alla luce di quanto sopra, parte contribuente ha eccepito la nullità dell’atto sia perché intestato non ad un soggetto, ma a un’insegna, sia per insussistenza del presupposto impositivo, essendo la pretesa riferita non ad un messaggio pubblicitario bensì alla generica immagine di un gelato.
Il giudice di primo grado, se da un lato ha ritenuto il vizio d’intestazione sanato dalla
tempestiva presentazione del ricorso da parte del soggetto legittimato (Società proprietaria della gelateria - soggetto passivo d’imposta), dall’altro lato ha accolto la domanda di annullamento dell’atto, ritenendo l'immagine generica di un gelato
«solo un elemento decorativo non diretto alla diffusione di un messaggio pubblicitario».
Di contrario avviso il giudice di appello, che, come la C.T.P., ha ritenuto il difetto di intestazione dell’atto una mera irregolarità sanata per effetto dell’impugnazione del soggetto avente diritto, mentre
non ha condiviso il ragionamento della sentenza di prime cure quanto alla mancanza del presupposto impositivo.
La C.T.R., al riguardo, ha ritenuto corretto l’operato dell’ente impositore sul rilievo che l'immagine del prodotto costituisce di per sé
«un mezzo obiettivamente idoneo a far conoscere indiscriminatamente alla massa indiscriminata di possibili acquirenti l'attività e il prodotto di una azienda, restando irrilevante che il detto mezzo non assolva pure una funzione reclamistica o propagandistica».
La decisione della S.C.
Ebbene, la Cassazione, decidendo nel merito, ha dichiarato nullo l’atto impositivo poiché – si legge nell’ordinanza n. 11461/2019:
-
«L'atto impositivo che, come quello in esame (rivolto ad un'insegna), sia rivolto ad un "non soggetto" deve essere considerato radicalmente inesistente (a nulla rilevando che la relativa notifica abbia raggiunto il "vero" soggetto passivo dell'imposta); in ragione di quanto precede, assorbiti gli altri motivi di ricorso (afferenti, entrambi, alla sussistenza del presupposto oggettivo di applicazione dell'imposta), la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa può essere decisa nel merito con accoglimento dell'originario ricorso della contribuente».
Di conseguenza, la Società concessionaria del servizio di riscossione è stata condannata dagli Ermellini al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della contribuente.
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1Il D.L. 22 febbraio 2002, n. 13, art. 2-bis, comma 6, convertito in L. 14 aprile 2002, n. 75, ha chiarito che si definisce insegna di esercizio la scritta di cui al Reg. di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 47, comma 1, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell'attività economica. A sua volta il D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, comma 1, definisce "insegna" la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell'attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria sia per luce indiretta.