Il presupposto oggettivo necessario ai fini dell'ammissibilità del patteggiamento per i reati previsti e disciplinati dal D.lgs. n. 74/2000 è l'integrale estinzione del debito tributario, comprensivo di eventuali interessi e sanzioni.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione
(Sez. III pen., sentenza n. 169/2018) decidendo il caso di un’imprenditrice bresciana che, al fine di evadere le imposte, ha occultato/distrutto le scritture contabili e i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo tale da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d'affari.
Il ricorso del P.M. - I Giudici di legittimità hanno
accolto il ricorso della Procura, oppostasi alla decisione del GIP di applicare all’imputata, su sua richiesta, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., la pena di mesi dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 10 del D.lgs. n. 74/00.
Il P.M. ha dedotto la violazione di legge, perché l'
art. 13 bis, comma 2, del D.lgs. 74/2000 - per le violazioni tributarie contemplate da detto decreto legislativo - limita l'applicazione della pena su richiesta
ai soli casi in cui l'imputato possa beneficiare della speciale attenuante di cui al primo comma della disposizione (per avere integralmente estinto i debiti tributari, compresi oneri e accessori), o nelle ipotesi di ravvedimento operoso; mentre nel caso di specie non ricorreva nessuna di tali ipotesi, e quindi il GIP non avrebbe dovuto emettere la sentenza di applicazione della pena su richiesta.
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato alla luce delle seguenti considerazioni.
L'art. 13 bis del D.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal D.lgs. n. 158 del 2015, stabilisce:
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“1. Fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti di cui al presente decreto sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie”;
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"2. Per i delitti di cui al presente decreto l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, nonché il ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 13, commi 1 e 2".
Gli Ermellini affermano che il secondo comma dell’art. 13 bis del D.lgs. n. 74/00 reca una disposizione di natura processuale, dunque applicabile ai giudizi pendenti
anche se relativi a fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, giacché,
in funzione premiale (essendo posta in relazione al ravvedimento operoso e all'integrale pagamento degli importi dovuti, che determina la configurabilità della circostanza attenuante di cui al primo comma della disposizione),
regola e delimita l'accesso alla applicazione al rito alternativo di cui all'art. 444 cod. proc. pen. in relazione a tutti i reati contemplati dal D.lgs. n. 74 del 2000, senza alcuna distinzione tra le varie fattispecie.
“Nel caso in esame” – afferma conclusivamente la Suprema Corte –
“le parti, nell'addivenire al concordato di pena, hanno del tutto omesso di considerare l'applicabilità di tale disposizione, né il giudice, nel ratificare l'accordo, ne ha dato atto o ne ha, in qualche modo, neppure implicito, escluso il rilievo (per l'eventuale inapplicabilità della preclusione in considerazione della natura del reato contestato, in relazione al quale potrebbero non essere configurabili la suddetta circostanza attenuante e il ravvedimento operoso, che, ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 472/1997, consente la regolarizzazione di omessi o insufficienti versamenti o di altre irregolarità fiscali), sicché risulta fondata la denuncia di violazione di legge da parte del pubblico ministero ricorrente.”
Ne è derivato l’annullamento della sentenza impugnata con trasmissione degli atti al Tribunale di Brescia.
Patteggiamento precluso con le rate - Recentemente la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che non è possibile accedere al c.d. “patteggiamento”
quando sia in corso un piano di pagamento rateale del debito tributario.
Stando, infatti, alla
sentenza n. 29565/2017 della Terza Sezione Penale, in tema di reati tributari, per l’applicazione dell’art. 444 cod. proc. pen. è necessario l’integrale pagamento del debito – secondo quanto stabilisce l'art. 13, co. 2-bis, D.Lgs. n. 74/00, e ora il co. 2 dell'art. 13 bis del medesimo D.Lgs. n. 74/00 –
che deve essere già avvenuto nel momento in cui è formulata la richiesta di accesso al rito alternativo, non essendo sufficiente un programma di pagamento rateale in corso in quel momento. (Nel caso di specie, riguardante il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.lgs. n. 74/00, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, perché il giudice del merito ha affermato, erroneamente, l’esistenza dei requisiti per l'accesso al rito alternativo,
in ragione del piano di rateazione in corso al momento della relativa richiesta. La S.C. ha disposto la trasmissione degli atti al Tribunale di Brescia per l’integrale rinnovazione del giudizio a partire dalla fase precedente all’apertura del dibattimento).