In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 39, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 600 del 1973 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l’incompletezza della dichiarazione risulta dai verbali delle ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, da cui derivino presunzioni semplici, desumibili anche da documentazione extracontabile e in particolare da “contabilità in nero”, costituita da appunti personali e informazioni dell'imprenditore.
Si tratta del principio ribadito dalla Corte di Cassazione con l’
Ordinanza 29546/18, depositata il 16 novembre, con cui è stata definitivamente sancita la legittimità di un avviso di accertamento scaturito da documentazione extracontabile – costituita, nella specie, da un
foglietto manoscritto del tipo post-it - ritrovata nel corso di una verifica effettuata nei confronti di una Ditta cliente della Società contribuente.
Nel caso di specie, la rettifica della dichiarazione ha preso le mosse dalla
vendita di confezioni regalo, contenenti alimenti e bevande, destinate a essere utilizzate quali omaggi a clienti e fornitori.
Nel corso della verifica presso la Ditta che ha acquistato le predette confezioni regalo, è stata rinvenuta una fattura alla quale era annesso un
post-it recante prezzi delle
confezioni tutti superiori a quelli fatturati, ad eccezione di quelli relativi alla confezione denominata di "tipo A".
Il fatto che tali importi trascritti sul foglietto fossero i
prezzi effettivi di acquisto delle confezioni regalo era confermato dalla procuratrice della Ditta cliente.
Ebbene, la contribuente ha eccepito la mancanza dei presupposti per procedere alla rettifica della dichiarazione con metodo induttivo in ragione sia della non riferibilità a sé del documento (
post-it), trattandosi di atto extracontabile, peraltro formato da altri, sia dell'inattendibilità delle dichiarazioni rilasciate nell'immediatezza dalla procuratrice della Ditta cliente, in quanto dalla stessa subito modificate.
La Suprema Corte, dal canto suo, ha ritenuto corretta la sentenza pro-fisco oggetto d’impugnazione, poiché la C.T.R. della Lombardia ha tenuto conto non solo del contenuto del
post-it materialmente annesso alla fattura e della dichiarazione rilasciata dalla dipendente della Ditta cliente, ma anche di altri elementi convergenti, quali:
- la mancata congruità con gli studi di settore;
- la particolarità della situazione reddituale;
- l'incongruità dei ricavi rispetto ai costi sostenuti;
- i prezzi di vendita in fattura, risultati pressoché identici per le diverse tipologie di confezioni, benché diversi nella composizione sia per qualità sia per quantità di beni contenuti.
Nel respingere, il ricorso proposto dalla Società contribuente, gli Ermellini hanno ricordato che l'art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e l'art. 54 del D.P.R. n. 633 del 1972 dispongono che l'inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di
presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l'Ufficio fornisca prove
«certe».
La giurisprudenza di legittimità ha inoltre chiarito che, in tema di presunzioni, il Giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell'atto impositivo, è tenuto a valutare,
«singolarmente e complessivamente», gli elementi presuntivi forniti dall'Amministrazione. Ciò che nel caso di specie è avvenuto, con motivazione, secondo la Suprema Corte, esaustiva.
In particolare,
per quanto riguarda il post-it rinvenuto in sede di verifica presso altra impresa, la decisione assunta dalla Commissione regionale si conforma al principio secondo il quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'art. 39, primo comma, lett. c), del D.P.R. n. 600/73 consente di procedere alla rettifica del reddito anche quando l'incompletezza della dichiarazione risulta
«dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti», da cui derivino presunzioni semplici, «desumibili anche da documentazione extracontabile» ed in particolare da «contabilità in nero, costituita da appunti personali ed informazioni dell'imprenditore»,
dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attività svolta (Cfr., Cass., sez. 5, n. 20094/2014, relativa a un avviso di accertamento fondato sulla documentazione extracontabile di altro contribuente, reperita in sede di verifica nei confronti di quest'ultimo; Cass., sez. 5, n. 24051/2011, relativa alla ricostruzione di redditi di persona fisica derivanti da collaborazione coordinata e continuativa in favore di una società, operata mediante il ricorso a "brogliacci" reperiti presso la sede di quest'ultima, nonché presso l'abitazione dell'amministratore e dei soci).
Per la Suprema Corte, in conclusione, il ricorso non può trovare accoglimento, perché la ricorrente nulla ha dedotto con riferimento al profilo di applicabilità della prova presuntiva,
«avendo incentrato le critiche solo sulla forza probatoria di singoli fatti, peraltro correttamente considerati dalla CTR come elementi presuntivi semplici (e non forniti di valenza probatoria ex se)».