L’Agenzia delle Entrate con la risposta all’istanza di
interpello n.84, del 26 novembre 2018, ha fornito interessanti chiarimenti in merito alla rivalsa IVA a seguito di accertamento; per i tecnici delle Entrate si tratta di un istituto di natura privatistica, essendo relativa non al rapporto tributario, ma ai rapporti interni fra i contribuenti. Ne deriva che nel caso di mancato pagamento dell’imposta da parte dell’acquirente del bene o del servizio l’unica possibilità che il fornitore ha per recuperare l’Iva versata all’amministrazione finanziaria, ma non incassata, è quella di rivolgersi al giudice civile
Il quesito posto alle Entrate
Una società esercente attività di commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento e accessori, chiede chiarimenti in merito alla corretta interpretazione dell’articolo 60, comma settimo, del d.P.R. n. 633 del 1972, concernente l’esercizio del diritto di rivalsa dell’Iva relativa ad avvisi di accertamento o rettifica emessi nei confronti di fornitori di beni e servizi nella particolare ipotesi di intervenuta estinzione del soggetto passivo acquirente.
Alla società istante sono stati notificati avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta dal 2011 al 2014, contenenti la contestazione di tutte le fatture emesse nei confronti di una società per la vendita di capi di abbigliamento firmati a prezzi ridotti.
Tale società acquirente ha cessato l’attività, chiuso la partita Iva e operato la definitiva cancellazione dal registro delle imprese.
L’istituto della rivalsa
La normativa vigente sull’IVA consente al contribuente, dopo aver pagato all’erario l’IVA accertata assieme a sanzioni e interessi, di potersi rivalere nei confronti del proprio cessionario o committente; questi ultimi soggetti, una volta pagata l’IVA addebitagli in via di rivalsa, possono esercitare il diritto alla detrazione.
L’Agenzia delle Entrate con la circolare ministeriale n. 35/E, del 17 dicembre 2013, ha fornito chiarimenti in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 60, co. 7, del D.P.R. 633/1972, come modificato dal D.L. «liberalizzazioni» (D.L. 1/2012, art. 93) che, conformemente ai principi comunitari di neutralità e proporzionalità dell’imposta sul valore aggiunto, ha consentito al contribuente di rivalersi, a seguito del pagamento all’erario dell’IVA accertata e, al cessionario/committente, di esercitare il diritto alla detrazione al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa.
I tecnici delle Entrate, con tale documento, hanno chiarito che l’operatività della disposizione prevede:
a) la riferibilità dell’imposta accertata a specifiche operazioni e la conoscibilità del cessionario/committente;
b) la definizione dell’atto di accertamento, anche attraverso il ricorso a strumenti deflattivi del contenzioso;
c) il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi.
La circolare evidenzia che gli istituti, sulla base di un accertamento effettuato da parte dell’amministrazione finanziaria, sono:
- l’accertamento con adesione;
- l’adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio;
- l’adesione ai processi verbali di constatazione;
- l’acquiescenza e la conciliazione giudiziale;
- la mediazione.
La disposizione in commento è consentita pure nei casi di mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini previsti dalla legge, ovvero, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, nell’ipotesi di contestazione, in sede giudiziale, della pretesa dell’amministrazione finanziaria.
Non è, invece, consentita la rivalsa, né l’esercizio del diritto alla detrazione, dell’imposta o della maggiore imposta versata a seguito di atti non divenuti definitivi.
La risposta delle Entrate
I tecnici delle Entrate evidenziano che dopo la modifica introdotta con il D.L. n. 1 del 2012, l’articolo 60, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, consente l’esercizio del diritto di rivalsa della maggiore imposta accertata a condizione che il fornitore abbia definitivamente corrisposto le somme dovute all’Erario in dipendenza dell’importo controverso.
La rivalsa a seguito di accertamento si differenzia da quella ordinariamente prevista poiché ha carattere facoltativo, si colloca temporalmente in epoca successiva all’effettuazione dell’operazione e presuppone l’avvenuto versamento definitivo della maggiore IVA accertata da parte del fornitore.
Tali circostanze valgono a rendere “speciale” il diritto di rivalsa in esame che, per rispondere al quesito proposto, va comunque interpretato alla luce dei principi generali del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.
L’avvenuta introduzione del diritto di rivalsa a seguito di accertamento (a chiusura della procedura di infrazione n. 2011/4081), si propone di ripristinare la neutralità garantita dal meccanismo della rivalsa (esercitabile dal fornitore soggetto passivo) e dal diritto di detrazione (esercitabile dell’acquirente soggetto passivo) consentendo il normale funzionamento dell’imposta, la quale deve, per sua natura, colpire i consumatori finali e non gli operatori economici, secondo l’approccio di tipo economico sostanziale che ravvisa nel consumo il presupposto dell’IVA, in aderenza con quanto ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia.
Affinché la neutralità sia effettivamente ripristinabile, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il diritto di rivalsa è ammesso a condizione che l’accertamento abbia consentito l’individuazione esatta della società cessionaria e la riferibilità dell’IVA accertata alle operazioni di cessione effettuate.
Tuttavia, va rilevato che, anche in presenza di tutte le condizioni necessarie a rendere il diritto potenzialmente esistente (definitività dell’accertamento, effettuazione dei versamenti dovuti, individuazione del cessionario e riferibilità dell’IVA alle operazioni), la rivalsa operata ai sensi dell’articolo 60 ha natura di istituto privatistico, inerendo non al rapporto tributario ma ai rapporti interni fra i contribuenti.
In caso di mancato pagamento dell’IVA da parte dell’acquirente del bene o del servizio l’unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell’IVA pagata all’Erario, ma non incassata, è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica.
Nel caso descritto tale via risulta preclusa a far data dalla cancellazione della società cessionaria dal registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2495 c.c. che ha comportato l’estinzione societaria definitiva e la conseguente perdita della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio.
Per l’Agenzia delle Entrate in conclusione, il diritto di rivalsa, pur astrattamente riconosciuto, non è più giuridicamente esercitabile dalla società istante.