È sempre la Società a dover pagare le sanzioni tributarie portate dall’accertamento realizzato col metodo induttivo: anche se è presente un amministratore “di fatto”, non è ipotizzabile il concorso di persone nell'illecito tributario amministrativo.
A precisarlo è la Corte di Cassazione (Sez. 5 civ., Ord. n. 29116/2018).
Nel caso di specie, nei confronti dell’amministratore “di fatto” di una S.r.l. è stato emesso un avviso di accertamento
per sanzioni da omessa dichiarazione fiscale. Il reddito societario, infatti, è stato ricostruito in via induttiva, su verifica della Guardia di Finanza.
L’articolo 7 del D.L. n. 269 del 2003 dispone che:
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«Le sanzioni amministrative relative al rapporto proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica».
L’Amministrazione finanziaria, nel giudizio in questione - da quanto lascia intendere il contenuto della breve Ordinanza n. 29116/2018 -, ha sostenuto la tesi che la suddetta disposizione non implica il venir meno dell'istituto del concorso di persone nell'illecito tributario amministrativo, con riferimento all'amministratore “di fatto”. E ciò perché l’art. 7 mira a escludere dalla sanzione i legali rappresentanti e gli amministratori legittimi della Società, nonché i dipendenti della stessa, in quanto organi dell'ente; mentre la norma non può essere certo letta come “scudo” per chi agisce nell’ombra, come gli amministratori di fatto, dovendo, pertanto, trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 9 D.Lgs. n. 472 del 1997, che prevede, appunto, il concorso di persone nell'illecito tributario amministrativo.
Ebbene, la Commissione Tributaria regionale della Campania, confermando la sentenza di primo grado, ha ritenuto la legittimità della pretesa sanzionatoria nei confronti dell’amministratore “di fatto”. Pertanto quest’ultimo ha deciso di sottoporre il caso alla Suprema Corte lamentando, per quanto è qui d’interesse, la violazione di legge con riferimento all’articolo 7 del D.L. n. 269 del 2003.
Gli Ermellini, decidendo nel merito, hanno accolto l’originario ricorso del contribuente.
Nella vicenda in esame, secondo i Massimi Giudici, trova applicazione il principio della
riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie introdotto dall'articolo 7, primo comma, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in Legge 24 novembre 2003, n. 326, principio che
si applica anche quando la società sia gestita da un amministratore di fatto.
A conforto di tale conclusione il Collegio di legittimità richiama propri precedenti pronunciamenti in fattispecie analoghe: Cass. Sez. 5 n. 9122 del 23/04/2014 e n. 25284 del 25/10/2017.
In particolare, nella motivazione di Cass. n. 25284/2017 si osserva che l'articolo 7 del D.L. n. 269 del 2003, rubricato significativamente «Riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie», dispone, al primo comma, che
«Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica», e, al terzo comma, che «Nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, si applicano in quanto compatibili». Nessun distinguo, quindi, è previsto con riferimento agli amministratori “di fatto”, né una soluzione diversa può essere desunta dall'articolo 9 del D.Lgs. n. 472 del 1997, che disciplina in termini generali il concorso di persone nella violazione tributaria, ma non si pone come deroga all'art. 7, posto che questo, da un lato, è stato introdotto successivamente all'art. 9 cit., e, dall'altro, prevede l'applicabilità delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997 solo
«in quanto compatibili».