Il rappresentante fiscale risponde del reato di omesso versamento dell'IVA da parte della società estera, anche se è rimasto totalmente estraneo alla gestione e alle decisioni societarie. La responsabilità penale (in solido) del professionista deriva dall’accettazione della nomina. È quanto ha precisato la Corte di Cassazione – Terza Sezione Penale con la sentenza n. 26356/14, depositata il 18 giugno.
La vicenda. Gli Ermellini hanno confermato il verdetto di colpevolezza pronunciato dalla Corte d’appello di Torino nei confronti del rappresentante fiscale di una società londinese in relazione al reato di cui all’articolo 10-ter D.Lgs. n. 74/2000.
Ad avviso della Corte territoriale, il rappresentante fiscale, ex art. 17 D.P.R. n. 633/1972, sostituisce, in tutti gli adempimenti riguardanti l’IVA, la società estera ed è con essa solidalmente responsabile. Tale responsabilità comprende anche quella penale, rimanendo del tutto irrilevante la mancata partecipazione del rappresentante all’attività nella società o alla gestione.
Ebbene, la Suprema Corte ha condiviso le conclusioni del giudice di merito in quanto perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità.
Osservazioni della S.C. La Terza Sezione Penale parte dal dato normativo e ricorda, innanzitutto, che l’articolo 17 del D.P.R. 633/72 prevede che gli obblighi e i diritti derivanti dall’applicazione delle norme in materia di IVA, relativamente a operazioni effettuate nel territorio italiano da o nei confronti di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, da un rappresentante residente nel territorio dello Stato, il quale risponde in solido con il rappresentante degli obblighi in questione.
A sua volta, l’articolo 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 sanziona “chiunque” ometta di versare l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, quindi anche il rappresentante fiscale. E difatti è già stato chiarito (sentenza n. 35457/2010) che il delitto di omessa IVA “è configurabile anche nei confronti del rappresentante fiscale per l’Italia di società estere (…), in quanto questi rappresenta l’unico interlocutore, sia pure in solido, per le obbligazioni fiscali e doganali”.
È dunque corretta la sentenza gravata in cui la Corte d’appello ha correttamente evidenziato che era irrilevante il fatto che il ricorrente non si fosse concretamente interessato alla gestione della società e che non fosse autorizzato a operare sul conto corrente della medesima, posto che l’assunzione di responsabilità (in solido) deriva dall’accettazione della nomina. “Dalla volontaria accettazione di quella nomina – puntualizzano gli Ermellini – scaturiscono – invero- gli obblighi di carattere fiscale di cui all’art. 17 cit. e, in caso di violazione, le conseguenze di carattere penale ex art. 10 ter cit.”.
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