È stato pubblicato il documento “Variazioni in diminuzione dell’IVA negli istituti disciplinati dal Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza” (allegato) nel quale il Consiglio e la Fondazione nazionale dei commercialisti hanno approfondito le problematiche connesse agli intrecci tra “norme fiscali” e “norme concorsuali” ed evidenziato le difficoltà di coordinare due corpi di misure eterogenee.
La disciplina recata dall'art. 26 del D.P.R. n. 633 del 1972 - norma che tende a recepire nel nostro ordinamento la disposizione di cui all'art. 90 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 - è stata più volte oggetto di istanze di interpello, con riguardo sia ai presupposti per la variazione da parte del cedente o prestatore, sia agli effetti che ne derivano per il cessionario o committente.
L’art. 18 del D.L. 25 maggio 2021, n. 73 (cd. “Decreto Sostegni-bis”), ha introdotto modifiche sostanziali alla disciplina delle variazioni in diminuzione dell’imponibile IVA o dell’imposta dovuta, ai sensi dell’art. 26 cit., disponendo che, nel caso di mancato pagamento del corrispettivo connesso a procedure concorsuali, non si debba più attendere la conclusione delle stesse.
Tuttavia, la nuova disciplina è applicabile per le procedure avviate dal 26 maggio 2021, mentre per quelle preesistenti permane la normativa precedente.
A tal proposito, nella parte introduttiva del documento di ricerca in questione si evidenzia come, «nonostante il tempo e le riforme intervenute, l’intersecarsi tra interessi privatistici ed esigenze di copertura di fabbisogni collettivi rende ancora oggi la materia priva di un inquadramento sistematico. Con riferimento alla previgente disciplina anche i più recenti documenti di prassi risultano improntati alla tesi che la “certezza giuridica” del mancato incasso sia imprescindibile presupposto per consentire al creditore falcidiato l’emissione della nota di credito, documento nella prassi da sempre ritenuto, a torto o a ragione, strumentale al recupero dell’imposta attraverso la variazione in diminuzione. A sopportarne le conseguenze imprese e professionisti, e in genere la massa dei creditori, forzati a tempi lunghi, talvolta inconcepibilmente lunghi, per poter ottenere il diritto al credito relativo all’imposta non incassata. Con tutte le conseguenti ed evidenti penalizzazioni, non solo di natura finanziaria.»
Nel documento si evidenzia, altresì, come, «A fronte dell’intransigente posizione assunta dall’Agenzia delle entrate, non sono mancate repliche discordanti, sia in dottrina che in giurisprudenza, per lo più, come si vedrà, fondate sui principi di diritto unionale e sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Difatti la Corte ha ripetutamente affermato che, in virtù del principio di neutralità dell’imposta, la base imponibile dell’IVA deve essere costituita dal corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo e l’Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di imposta un importo superiore a quello da questi percepito a tale titolo; di conseguenza, quando l’insolvenza del debitore risulta certa, o ragionevolmente certa, la normativa interna di ciascuno Stato deve riconoscere al contribuente il diritto di recuperare la maggiore imposta versata all’erario e non incassata. Proprio alla giurisprudenza comunitaria va verosimilmente ricondotto il passaggio dal presupposto della “certezza giuridica” a favore della “ragionevole certezza” del mancato pagamento, principio che traspare dalle novità normative di cui si tratterà nelle pagine seguenti.»
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