La Corte costituzionale, con la sentenza n. 144 del 2024, pubblicata ieri, ha dichiarato non fondate, in relazione agli artt. 3, 41 e 117, comma 1, della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 3, del D.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, sollevate dal Consiglio di Stato nell’ambito di un giudizio introdotto dall’Associazione nazionale tributaristi LAPET e da una sua iscritta, alla quale l’Agenzia delle entrate ha negato l’abilitazione al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA, inviate dalla stessa all’Amministrazione finanziaria.
La disposizione era stata censurata dal Giudice rimettente nella parte in cui individua i soggetti abilitati al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni dei redditi e dell’IVA nell’elenco di professionisti contenuto nelle sole lettere a) e b) del comma 3 dell’art. 3 del D.P.R. n. 322 del 1998, ossia «gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro» (lettera a) e «i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria» (lettera b), e non li individua anche «negli altri soggetti indicati dallo stesso comma 3 e, in particolare, in quelli di cui alla lett. e), ossia «gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze».
Ebbene, la decisione della Consulta è stata salutata con favore dalla categoria dei commercialisti.
Attraverso un comunicato stampa il presidente Elbano de Nuccio ha evidenziato come il C.N.D.C.E.C. abbia difeso il ruolo dei propri iscritti e le prerogative delle professioni ordinistiche.
«Nella sentenza» - commenta de Nuccio - «si osserva che nessuna equiparazione è praticabile tra professionisti appartenenti al sistema ordinistico e coloro che non sono organizzati in ordini o collegi dal momento che la legge n. 4 del 2013 ribadisce il divieto per i professionisti non organizzati, anche se iscritti alle associazioni, di svolgere un’attività riservata dalla legge a specifiche categorie di soggetti. Gli ordini professionali, infatti, sono configurati come “enti pubblici ad appartenenza necessaria” e la loro istituzione e disciplina risponde all’esigenza di tutelare un rilevante interesse pubblico la cui unitaria salvaguardia richiede che sia lo Stato a prevedere specifici requisiti di accesso, affidando loro il compito di curare la tenuta degli albi nonché di controllare il possesso e la permanenza dei requisiti in capo a coloro che sono già iscritti o che aspirino ad iscriversi al fine di garantire il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività».
«Si tratta» – continua de Nuccio – «di organismi associativi a partecipazione obbligatoria cui il legislatore statale ha affidato poteri, funzioni e prerogative, sottoposti a vigilanza da parte di organi dello Stato-apparato, tutti preordinati alla tutela di pregnanti interessi di rilievo costituzionale, connessi all’esercizio di attività professionali».
«Tali poteri, funzioni e prerogative sono dunque più estesi ed effettivi di quelli esercitati dalle associazioni previste dalla legge n. 4 del 2013» – spiega il presidente dei commercialisti italiani –, «in quanto sottoposti a diretta vigilanza da parte di organi statali e corredati da incisive potestà disciplinari nei confronti degli iscritti, che possono determinare, tra l’altro, la sospensione o la radiazione, con conseguente impossibilità (temporanea o definitiva) di esercitare legittimamente la professione, e quindi tutte le attività per cui è richiesta l’iscrizione all’albo. A ciò va aggiunto che il legittimo accesso agli albi presuppone il superamento di un apposito esame di Stato diretto alla verifica dei requisiti necessari per l’esercizio della professione, non previsto per l’iscrizione alle citate associazioni».
«Il Consiglio nazionale dei commercialisti» – conclude de Nuccio – «ha difeso strenuamente il ruolo dei propri iscritti e quindi la funzione e le prerogative delle professioni ordinistiche, che non possono essere confuse e in alcun modo equiparate a quelle di associazioni a carattere professionale».
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