La prova contraria che è tenuto a fornire il contribuente in ipotesi di accertamenti bancari non può basarsi su documenti contenenti “valori aggregati”, in quanto vanno giustificate le singole operazioni contestate. È quanto emerge dalla lettura dell’ordinanza n. 9681/2025 della Sezione tributaria…
Il caso
In estrema sintesi, una società esercente attività alberghiera e suoi soci sono stati raggiunti, in esito a indagini bancarie, da avvisi di accertamento concernenti maggiori ricavi ai fini IRPEF e IRAP e un maggior volume d’affari ai fini IVA.
La Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano ha ritenuto che i contribuenti, mediante la produzione di copiosa documentazione (costituita da scritture contabili, fatture e documenti bancari e numerosi elenchi), avessero provato che i versamenti e i prelievi corrispondessero alle voci contenute in contabilità o che si trattasse di meri giroconti o di importi doppiamente conteggiati dalla Guardia di Finanza.
La Commissione d’appello ha, quindi, rilevato che tale ricostruzione analitica aveva consentito al primo Giudice di ritenere fondato il ricorso dei contribuenti in relazione a gran parte delle operazioni contestate e di rigettarlo, invece, nella parte per cui mancava tale prova.
Veniva perciò respinto l’appello dell’Ufficio, per conformità della decisione di primo grado all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, dal momento che società e soci avevano fornito la prova contraria rispetto alla presunzione legale sancita in detta norma.
Ebbene, la Difesa erariale ha proseguito il giudizio in Cassazione, dove ha ottenuto un verdetto a sé favorevole.
Principi di diritto sul contenuto della prova contraria
In particolare, l’Amministrazione ha dedotto, con successo, la inidoneità della documentazione prodotta dai contribuenti a giustificare le singole operazioni di conto corrente contestate, posto che tutti gli allegati presentati riguardavano valori aggregati.
Sul punto, gli Ermellini – nel motivare la cassazione con rinvio della sentenza di “seconde cure” – spiegano che l’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede una presunzione legale relativa che consente, da un lato, all’Amministrazione finanziaria di porre i dati risultanti dalle indagini bancarie alla base degli accertamenti e rettifiche ex art. 38, 39, 40 e 41 D.P.R. n. 600/1973 e, dall’altro lato, consente al contribuente di fornire la prova contraria.
Con riferimento ai contenuti di quest’ultima, l’orientamento maggioritario è nel senso che, in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice di merito è tenuto a effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto a ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione (Cass. n. 10480/2018). È stato altresì precisato che gli artt. 32 e 51 citati prevedono una presunzione legale in favore dell’Erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono a operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del Giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze (Cass. n. 13112/2020).
In sostanza, dalla giurisprudenza di legittimità, emerge che la presunzione legale sancita dall’art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973 non richiede un ulteriore vaglio da parte del Giudice in merito alla presenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, tali da portare a ritenere la presenza di maggiori redditi rispetto a quelli dichiarati. L’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente impone, quindi, a quest’ultimo di fornire la prova contraria in ordine al collegamento delle operazioni bancarie con i dati risultanti dalla contabilità o in merito all’estraneità di tali operazioni dal reddito imponibile. L’articolazione della prova contraria deve essere, tuttavia, analitica e portare a un riscontro di congruità con i dati della contabilità o di estraneità delle movimentazioni bancarie ai redditi imponibili.
L’errore compiuto dal Giudice di merito
Nel caso di specie - si legge nella sentenza impugnata -: «Gli appellati, infatti, con una copiosa documentazione, costituita da scritture contabili, fatture e documenti bancari assieme a numerosi elenchi, hanno dimostrato che i versamenti e i prelevamenti corrispondono alle voci contenute in contabilità, o che si trattava di meri giroconti o di importi doppiamente conteggiati dalla Guardia di Finanza. […]. I giudici di primo grado hanno rispettato il dettato dell’articolo 32 D.P.R. 600/73 che prevede una presunzione legale che i versamenti e i prelevamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, ma che, a fronte di detta presunzione legale, il contribuente può fornire la prova contraria, anche attraverso presunzioni semplici, da sottoporre comunque ad attenta verifica da parte del giudice.»
Tale percorso argomentativo, per i Magistrati di Piazza Cavour, non è conforme alla giurisprudenza sopra richiamata, «che ritiene necessario un riscontro analitico per ciascuna operazione che non trovi supporto nella contabilità del contribuente (peraltro l’unico soggetto, quale autore, sia della contabilità che delle movimentazioni bancarie contestate dall’amministrazione finanziaria, a essere in grado di fornire adeguate e concrete giustificazioni volte a riconciliare le seconde con la prima). Non è, invece, possibile che tale prova possa essere fornita dal contribuente mediante riscontri giustificativi incentrati su macro-categorie o su dati aggregati, dal momento che tale modalità di espletamento dell’onere probatorio è inidonea a superare la presunzione scolpita negli artt. 32, primo comma, n. 2 e 7, D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 D.P.R. n. 633 del 1972 in merito alla riferibilità dei dati ed elementi (i.e. i versamenti) e i prelevamenti non riscontrati in contabilità a redditi non dichiarati.»
Il rinvio
Conclusivamente, la Suprema Corte romana ha annullato la sentenza impugnata e, per l’effetto, rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Bolzano, in diversa composizione, per nuovo esame.
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