4 aprile 2025

Operazioni inesistenti. Contenuto della prova contraria

Cassazione tributaria, ordinanza depositata il 3 aprile 2025

Autore: Paola Mauro
A fronte della contestazione di inesistenza oggettiva delle operazioni, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione in fattura non è mai stata effettuata, indicando, a tal fine, elementi anche indiziari; a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva…

Il caso

Una S.r.l. operante in campo immobiliare, in quanto svolgente attività di costruzione di immobili per conto terzi, è stata raggiunta da avvisi di accertamento per gli anni 2013 e 2014, con i quali l’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza, ha contestato costi fittizi oltre sanzioni e relativi interessi, nonché maggiori ritenute oltre sanzioni e interessi.

Ciò posto, la Commissione Tributaria Provinciale di Pavia ha accolto i ricorsi riuniti proposti dalla società, mentre la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha accolto l’appello dell’Ufficio, ritenendo indimostrata, da parte della contribuente, l’esistenza delle operazioni oggetto del recupero a tassazione.

A questo punto la controversia si è postata in Cassazione, dove però il verdetto di secondo grado ha finito per essere confermato.

Per gli Ermellini, infatti, la C.T.R. ha ben applicato la “regula iuris” per la quale l’onere di provare che l’operazione in fattura non è mai stata effettuata spetta all’Ufficio, che a tal fine può fare ricorso anche a elementi indiziari, mentre il contribuente deve dimostrarne l’effettiva esistenza con una prova che vada oltre la regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento.
Esattamente la giurisprudenza di legittimità ha affermato, negli anni, che quando le riprese attengono a operazioni oggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una "cartiera" o una società "fantasma") dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 17619/2018; Cass. n. 26453/2018).

Si è detto, altresì, che, in tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723/2024; Cass. n. 28628/2021).

Ebbene, nel caso che ci occupa, ad avviso degli Ermellini, «Il procedimento logico-valutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale è pienamente coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio.»

L’Ufficio ha ritenuto inesistenti le operazioni effettuate con le società Alfa S.r.l. e Beta S.r.l., in quanto la compagine della prima presentava le tipiche caratteristiche di una società cartiera, era, cioè, priva di mezzi, macchinari e di personale, e i DURC presentati erano successivi alla stipula dei contratti di subappalto. La seconda società in questione, invece, non aveva mai presentato bilanci, né dichiarazioni fiscali e i versamenti relativi ai contribuiti previdenziali e alle ritenute su redditi di lavoro dipendente erano stati regolati mediante compensazione di crediti IVA e IRES inesistenti.

Tali elementi indiziari, adotti dall’Ufficio, sono apparsi alla C.T.R. connotati da gravità, precisioni e concordanza e, dunque, il Collegio di merito ha evidenziato che la contribuente avrebbe dovuto provare l’esistenza delle operazioni contestate, cosa, invece, non avvenuta, vista la parziale esibizione di documentazione utile allo scopo e, comunque, la non esaustività di quella versata nel processo.

Questa conclusione ha trovato d’accordo gli Ermellini, i quali hanno anche respinto l’ulteriore doglianza formulata dalla contribuente, relativa alla negata deduzione ai fini IRPEF e IRAP dei costi assunti come esistenti e dotati di tutti i requisiti previsti dagli artt. 109 D.P.R. n. 917/1986 e 5 D.lgs. n. 446/1997, rispetto alla quale il Supremo Collegio ha opposto il consolidato principio per cui «In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537 del 1993 - nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 44 dei 2012 - l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del D.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, mentre è esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti (Cass. n. 8480 del 2022; Cass. 4645 del 2020).»

In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, senza tuttavia addebitare alla soccombente le spese del giudizio di legittimità, in ragione dell’inammissibilità del controricorso presentato dall’Ufficio.
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