22 aprile 2014

RIVALUTAZIONE BENI: ENNESIMA BEFFA

A cura di Antonio Gigliotti

Cari amici e colleghi,

neanche il tempo di poter digerire la colomba pasquale, che già ci è andata di traverso. E infatti, se qualche dipendente potrà gioire per gli 80 euro in più che si ritroverà a maggio in busta paga, altri, come pensionati, incapienti e titolari di partita Iva (come sempre figli di un dio minore), non potranno fruire di questo beneficio, per il quale inoltre non è ben chiaro da che parte prenderanno le coperture.

Il punto è che, come accade ogni volta in questo Paese, il nuovo finisce per puzzare subito di vecchio. Così, il ‘giovane’ governo Renzi che voleva rompere col passato, si è invece ritrovato ad agire come un esecutivo da prima Repubblica.

Mi riferisco alla stralunata marcia indietro che ha riguardato la disposizione della Legge di Stabilità sul versamento dell’imposta sostitutiva circa la rivalutazione dei beni d’impresa e delle partecipazioni iscritti in bilancio al 31/12/2012. Dunque, in base all’indicazione originaria, le imprese avevano facoltà di spalmare il versamento dell'imposta dovuta in tre annualità, corrispondenti al mese di giugno del 2014, 2015 e 2016. In sostanza, dal punto di vista civile, l’effetto della rivalutazione ricorreva dal 2014, mentre sul fronte fiscale dal 2016: si iniziava a pagare da subito (giugno 2014) per avere benefici fiscali solo dal 2016. Il decreto fiscale approvato qualche giorno fa invece ha sostituito tale disposizione stabilendo che l'imposta debba essere pagata tutta entro giugno 2014, non più in tre annualità.

Ora, anche senza andare per il sottile evidenziando che già non poche società hanno aderito alla ‘vecchia’ disposizione, vediamo che un simile provvedimento non rappresenta soltanto l'ennesima violazione di un principio di irretroattività dell'imposizione fiscale, quanto anche dello Statuto dei Contribuenti, già in altre occasioni violentemente calpestato.

Ancora una volta per pochi spiccioli si viene a ledere un principio che dovrebbe essere inviolabile in uno Stato democratico, vale a dire quello della certezza del diritto.

Nonostante si voglia tentare di far capire che tutto sta cambiando, in realtà ogni cosa rimane come prima, se non addirittura peggio.

Questo provvedimento non fa altro che allontanare sempre più gli investitori dall'Italia, spingendo numerose imprese italiane alla chiusura. Il punto è che nel nostro Paese non c’è una chiara pianificazione fiscale, ma soltanto l’improvvisazione del tecnico di turno, che pur di regalare qualche spicciolo sotto elezioni calpesta uno dei diritti che dovrebbe essere intoccabile.

Siamo stanchi di questa ennesima barbarie fiscale che, come qualcuno giustamente sostiene, è l'antitesi di un Paese dotato di principi non diciamo liberali, che oramai sembra una bestemmia, quanto morali.

Quindi nulla di nuovo all'orizzonte, se non vecchie manovre furbe, poca considerazione dei contribuenti e del loro quoziente minimo di intelligenza.

Per concludere, non posso che prendere per vera la storica affermazione di Giuseppe Tommasi di Lampedusa, “se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Che, invertendo l’ordine degli addendi, ci mostra l’Italia di oggi, dove tutto cambia solo per rimanere uguale, immutato negli anni.
 © Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata
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