Un tema particolarmente sentito dai soci e dai liquidatori/amministratori di società estinte è quello della eventuale responsabilità patrimoniale per i debiti erariali dell’ente estinto.
Due recenti sentenze, che per la verità si inseriscono in un ricco (e talvolta controverso) panorama giurisprudenziale, ci consentono di formulare alcune riflessioni.
Le fattispecie – Le due situazioni che ci accingiamo a commentare sono caratterizzate da un
fil rouge comune, ovvero la pretesa avanzata dall’Agenzia delle Entrate di incassare debiti tributari dell’ente estinto dai soci dello stesso.
Le norme che regolano la fattispecie in parola sono, da un lato, di natura civilistica (art. 2495 C.C.) e dall’altro di natura tributaria (art. 36
DPR 602/1973).
Nel primo caso i soci di una Srl cancellata dal registro delle imprese (nel 2013) ricevono una
intimazione di pagamento relativa alle imposte ascrivibili al maggior reddito determinato in capo al soggetto estinto sulla base di una sentenza della CTR locale, divenuta definitiva in epoca successiva (nel 2016) rispetto alla cancellazione. Sull’argomento si è pronunciata la CTR Campania – Sezione di Salerno – con sentenza 6599/9/19 del 13/08/2019.
Nel secondo caso i Soci di un’altra Srl cancellata dal registro delle imprese (nel 2007) sono destinatari (nel 2019) di alcune
cartelle esattoriali scaturenti dalla definitività, per mancata impugnazione, di una sentenza della locale CTR (nel 2016) in materia di IRES riconducibile al soggetto estinto. Sull’argomento si è espressa la CTP Reggio Emilia con sentenza 44/2/2020 del 31/01/2020.
Principi di riferimento – Come anticipato le norme dalle quali trarre una guida per comprendere, e circoscrivere, la responsabilità dei soci e dei liquidatori delle società cancellate dal registro delle imprese sono l’art. 2495 C.C. e l’art. 36 DPR 602/73.
Il primo recita
“Ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi”.
Il secondo, in estrema sintesi, detta regole precise in tema di responsabilità dei liquidatori/amministratori e soci nell’ipotesi in cui il mancato pagamento erariale sia da imputare ad una “illegittima” ripartizione dei fondi scaturenti dalle attività di liquidazione che non tenga conto dell’ordine di distribuzione delle somme come previsto dal codice civile e dalle leggi speciali in materia, o a causa di assegnazioni (a favore dei soci) durante il periodo della liquidazione e nei due periodi d’imposta precedenti. Ciò che preme sottolineare è il comma 5 dell’articolo in commento: “La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall'ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell'art. 60 del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.”
Orbene, le due sentenze in commento accolgono le doglianze dei soci nei confronti delle pretese erariali riconfermando alcuni principi cardine, che dobbiamo sempre tenere presente quando affrontiamo il particolare momento della liquidazione di una società.
In primo luogo è fuori dubbio che i soci non possono essere chiamati a rispondere per un importo superiore rispetto a quanto percepito a seguito del piano di riparto che accompagna il bilancio finale di liquidazione, come previsto dall’art. 2495 C.C. Tale previsione è operativa solo per i
soci di società di capitali in quanto è la concreta derivazione del principio della responsabilità limitata insita in tale tipologia di soggetto collettivo: pertanto il socio di una srl (nel caso di specie) non può essere chiamato a rispondere per un importo maggiore rispetto a quello che “avrebbe” astrattamente perso (inteso come mancato riparto) nell’ipotesi in cui i liquidatori avessero dovuto pagare l’erario prima di procedere alla ripartizione delle somme disponibili a favore dei soci. È di tutta evidenza che tale previsione non trova applicazione nell’ambito delle società di persone, dove per definizione la responsabilità in capo ai soci per le passività sociali è illimitata.
In secondo luogo la responsabilità ex art. 36 DPR 602/1973 richiede, come prevede il comma 5 dello stesso, un passaggio formale di non secondaria importanza:
La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall'ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell'art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. Questo significa che l’Ufficio
deve dimostrare con atto motivato di aver subito un danno dalla “condotta censurabile” dei liquidatori/amministratori che hanno penalizzato l’erario in sede di ripartizione/assegnazione delle liquidità sociali. Ovviamente avverso tale atto, come è sacrosanto che sia, è ammessa l’impugnazione secondo le normali regole del processo tributario.
Ed ancora, la CTP Reggio Emilia in commento, sottolinea come una eventuale iscrizione a ruolo a carico dei soci, operata dall’Ufficio, in forza dell’art. 2495 c. 2 (come cercò di sostenere l’Ufficio in tale giudizio al fine di far dichiarare valide le cartelle) dovrebbe avere per oggetto solo debiti tributari sociali
esistenti alla data della cancellazione della società e quindi (di regola) risultanti dal bilancio finale di liquidazione, con la conseguenza che la citata norma non possa essere invocata per passività sorte o definite in epoca successiva rispetto all’estinzione (per il tramite della cancellazione) della società.
Un pronunciamento della Cassazione, a Sezioni Unite, particolarmente degno di nota è la
sentenza 6070/2013, nella quale vengono ripercorsi i principi fondamentali di questa particolare responsabilità dei soci e dei liquidatori nei confronti delle pendenze tributarie riconducibili alla società estinta.
Tutto bene e tutto chiaro, quindi? Purtroppo no! Il fatto stesso che le vertenze fra soci/liquidatori ed Amministrazione Finanziaria approdino spesso in Cassazione e richiedano, addirittura, di affrontare la questione “a Sezioni Unite” testimonia come il panorama sia tutt’altro che univoco. La materia è sicuramente complessa e non è questa la sede per affrontarla in modo organico, come è doveroso fare.
Basti ricordare che in alcuni casi la stessa Cassazione ha adottato posizioni che hanno “agitato non poco” gli animi dei Professionisti che assistono quotidianamente le società in procinto di essere cancellate dal registro delle imprese, società che spesso non effettuano alcuna ripartizione di attivo in quanto chiudono le operazioni di liquidazione con patrimoni netti negativi.
Rinviando ad un futuro approfondimento la disamina puntuale delle diverse posizioni, nel frattempo teniamo “nel primo cassetto della scrivania” le sentenze (favorevoli) sopra richiamate, avendo cura di rispettare scrupolosamente durante tutta la fase di liquidazione (ma anche prima) le norme che regolano la graduazione dei pagamenti dei creditori sociali, così almeno da disinnescare alla fonte i presupposti di responsabilità più macroscopici. Come spesso si dice, il buon liquidatore deve immaginare di ripartire l’attivo della liquidazione come se fosse un “curatore fallimentare”…
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