Nell’alveo dei reati tributari assumono particolare importanza quelli derivanti dalla qualificazione giuridica di operazioni inesistenti. Il D.Lgs 74/2000, all’
articolo 2 comma 1, prevede che “
è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”. Con l’espressione “operazioni inesistenti” non ci si riferisce a circostanze giuridicamente omogenee, ma ad un genere costituito da due fattispecie completamente differenti: da un lato, ad operazioni fittizie dal punto di vista oggettivo; dall’altro, ad operazioni inesistenti solo sotto il profilo soggettivo. Le differenze sostanziali che sorreggono i due diversi meccanismi di frode sono:
- le fatture per operazioni oggettivamente inesistenti si materializzano in caso di inesistenza in senso giuridico dell’operazione. In concreto, quando si è in presenza di una divergenza tra l’operazione fatturata e l’operazione effettuata (è stata posta in essere una determinata operazione, ma ne è stata fatturata un’altra). Ovvero, quando si è in presenza dell’inesistenza dell’operazione stessa (vengono emessi documenti fiscalmente rilevanti, riferiti ad una operazione che non è stata mai posta in essere). Tali reati, per il loro alto grado di insidiosità sono puniti con pene molto severe;
- le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, invece, si caratterizzano per la presenza di una differenza tra il documento cartolare e la realtà, riferita ad uno dei soggetti intervenuti nell’operazione. In pratica, la transazione economica è stata realmente effettuata, ma riconducibile a soggetti diversi da quelli indicati nei documenti, che non agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
La distinzione tra fatture soggettivamente e oggettivamente inesistenti assume fondamentale rilievo tenuto conto che, qualora non venga provata la consapevolezza dell’acquirente di aver partecipato ad una frode, nella particolare ipotesi di fatture soggettivamente inesistenti, il costo dell’acquisto del bene o del servizio potrebbe essere riconosciuto deducibile dal reddito d’impresa.
Il criterio per la deducibilità del costo per operazioni soggettivamente inesistenti- Secondo un consolidato principio affermato in più occasioni dalla Suprema Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione, che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo sostenuto su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente, dare la prova che il contribuente sapesse o potesse sapere di partecipare ad una frode. Con l’adempimento di tale onere da parte dell’Amministrazione Finanziaria, grava sul contribuente fornire la prova contraria. Essa consiste nel dimostrare di aver adoperato la diligenza massima richiesta ad un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto al caso concreto, per non essere coinvolto in un'operazione di frode. Non assurgono, comunque, a prova a favore del contribuente, la regolarità formale della contabilità, l’avvenuto pagamento della merce e la sua effettiva consegna in quanto circostanze insite nella nozione stessa di operazione soggettivamente inesistente.
Diversamente dal contribuente, l’Amministrazione Finanziaria può fornire la prova anche avvalendosi di presunzioni semplici, fermo restando che, nelle ipotesi di frode più semplici, l’onere gravante sull’amministrazione fiscale potrà esaurirsi nella prova che il soggetto interposto fosse privo di tutti gli elementi economici e patrimoniale minimi; in quelle più complesse di “frode carosello” occorrerà dimostrare non solo gli elementi che hanno caratterizzato la frode ma anche la circostanza relativa alla consapevolezza del contribuente.
L’emanazione delle norme di cui all’articolo 8, comma 1, del Dl. n. 16/2012 - Al fine di mitigare le ingenti sanzioni applicabili ai reati di cui si discute, al comma 1, dell’articolo 8 del decreto legge in rassegna, il legislatore introdusse una distinzione tra le fattispecie di cui si discute. Con la sostituzione del comma 4-bis dell'articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ha avuto modo di precisare che:
«Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività' qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell'articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi (…)». Tale intervento si è reso necessario per porre fine non solo alle varie critiche nel tempo registrate ma anche per evitare ulteriori coinvolgimenti della Consulta, già più volte investita.
La rilevanza fiscale delle operazioni soggettivamente inesistenti - Dalla lettera della norma si evince che per le sole operazioni soggettivamente inesistenti, ai fini delle imposte dirette, l’unica preclusione alla detrazione del costo si verifica qualora lo stesso venga utilizzato per il compimento di reati non colposi. La Corte di Cassazione, nel confermare un suo consolidato orientamento, nell’ordinanza n. 21706 del 08 ottobre 2020, ha statuito che
«(…) Pertanto, i costi effettivamente sostenuti, anche se documentati con fatture soggettivamente false, possono essere dedotti ai fini delle imposte dirette, alla condizione, la cui sussistenza dovrà essere verificata dal giudice di merito, che ricorrano i requisiti previsti in via generale dall'art.109 d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 per la deduzione dei componenti negativi del reddito di impresa (effettività, inerenza e determinatezza) (…)».
I requisiti dell’effettività e determinatezza, in linea di principio, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti (transazione realmente avvenuta), sono sempre individuabili con sufficiente precisione. Diverso è il requisito dell’inerenza, la cui dimostrazione non è sempre agevole.
Il principio di inerenza -Il vocabolario Treccani definisce l'inerenza come l'“intima relazione fra due cose, di cui una sia all’altra essenziale o comunque connessa". Nell’ambito della disciplina fiscale potremmo definire il principio di inerenza come quel collegamento necessario per la determinazione del reddito d’impresa da assoggettare a tassazione. Quest’ultimo va identificato come la differenza tra due entità “inerenti”, ossia, essenziali l’una all’altra, quali i ricavi ed i costi collegati o collegabili all’attività dell’impresa.
Anche la giurisprudenza si è occupata più volte del principio di inerenza dei costi: un orientamento più recente richiede, per la deduzione, un legame tra il costo sostenuto e l'attività d'impresa.
Da ultimo, appare opportuno evidenziare che la “non inerenza” del costo sostenuto possa emergere in una fase successiva all’acquisto: è il caso dell’acquisizione di beni da impiegare nel processo produttivo; solo successivamente tale bene viene impiegato per il compimento di un reato. Nell'ipotesi, il costo del bene risulterà non deducibile, anche se originariamente era stato sostenuto per l’acquisto di un bene da impiegare in un’attività lecita.
Considerazioni conclusive- Accolta la tesi favorevole al riconoscimento dei costi per operazioni soggettivamente inesistenti non riconducibili alla commissione di reati non colposi, la Corte di Cassazione, nel periodo successivo alla emanazione della disposizione dianzi citata, ha a più riprese sollevato più di qualche perplessità circa il riconoscimento automatico di tali costi. Diverse sentenze, infatti, hanno escluso la deducibilità di tali costi, anche se effettivamente sostenuti, in quanto riferibili ad un contesto criminoso. Ulteriore posizione assunta dalla Corte è riferibile a quelle situazioni nelle quali un soggetto destinatario della sola fattura, in assenza di qualsiasi transazione commerciale perché posta in essere da altri, sarebbe legittimato ad esercitare il diritto alla deduzione del costo in netta violazione delle regole che governano il reddito d’impresa. Da ciò il principio sostenuto dalla Corte secondo cui la deducibilità dei costi in argomento non è assoluta e va negata ogniqualvolta vengano violati i principi sanciti dall’
art. 109 del TUIR.