21 luglio 2014

False P.IVA. Stop alle tasse in caso di imprenditore fittizio

Se il dipendente è stato costretto a dichiararsi come imprenditore, può opporsi al pagamento delle tasse

Autore: Redazione Fiscal Focus
Premessa – Importante svolta nella lotta contro l’uso delle false partite IVA. Infatti, per la prima volta in assoluto una recente sentenza della Commissione Tributaria di Viterbo ha accolto il ricorso presentato da un operaio edile per ottenere l'annullamento delle richieste di pagamento di addizionali Irpef, Iva e Irap dopo essere stato costretto dal suo datore di lavoro a dichiararsi imprenditore con conseguente richiesta e assegnazione di partita Iva. Si tratta di una pratica parecchio diffusa che riguarda molti lavoratori, specialmente nell'edilizia, che vede costretti questi ultimi - dietro volontà del datore di lavoro - ad aprire partite Iva al sol fine di mascherare un lavoro di tipo subordinato che sarebbe molto più oneroso.

Lotta alle false P.IVA –
La lotta contro l’abuso delle false partite IVA ha avuto origine con la riforma Fornero (art. 1, c. 26 della L. n. 92/2012), la quale ha introdotto tre parametri di presunzione che se verificati (almeno due) implicano la trasformazione del rapporto di lavoro da autonomo a subordinato (co.co.pro), alla base del quale deve esserci appunto un progetto specifico. Le misure introdotte sono le seguenti: collaborazione “fittizia” che duri più di 8 mesi nell’arco di due anni solari consecutivi; ricavi maggiori dell’80% del corrispettivo che derivano da un unico committente nell’arco di due anni solari consecutivi; postazione “fissa” presso il committente (si dovrà dimostrare di avere una vera e propria scrivania).

La sentenza
– La vicenda, in particolare, riguarda un operaio romeno che con tre distinti ricorsi del 12 febbraio 2013, del 27 maggio 2013 e del 21 ottobre 2013 si è opposto al pagamento per Irpef addizionali 2008 e Irpef, Iva e Irap 2009, chiedendone l'annullamento visto che è stato indotto dal proprio superiore all’apertura della P.IVA. Con deduzioni del 3 maggio 2013 l'Agenzia delle Entrate di Viterbo chiedeva il rigetto dei ricorsi. Sul punto, la Commissione tributaria di Viterbo ha stabilito che "se un lavoratore dipendente chiede l'attribuzione di una partita iva, non per questo può essere considerato soggetto passivo di imposta. La fattura emessa a fronte del salario corrispostogli dal datore di lavoro riguarda certamente un'operazione inesistente, che non può comportare per il lavoratore il versamento del tributo e per il datore di lavoro la possibilità di portarsi in detrazione l'Iva, che apparentemente risulta dalla fattura, da lui corrisposta". In tali casi, secondo la Ctr, si verificano operazioni truffaldine sanzionabili, ma non a operazioni che ricadono nell'ambito dell'applicazione del tributo e che possono legittimare un accertamento al fine di fare emergere a carico del lavoratore una vicenda di evasione di imposta. “L’accertamento giuridico nei suoi confronti – continua la sentenza - non ha pertanto fondamento giuridico, mancando i presupposti impositivi richiesti per essere chiamati a rispondere del tributo Iva e pertanto essere annullato salve tutte le conseguenze riconducibili a dichiarazioni false del lavoratore poste in essere in una condizione di stato di necessita”. Infine, la sentenza ha avuto risvolti anche per quanto riguarda il potere-dovere dell’Agenzie delle Entrate, il quale deve verificare se la denuncia di inizio di attività corrisponde effettivamente all'inizio di un'attività per cui ricorrono i presupposti per l'applicazione del tributo.
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