Premessa – Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con l’interpello n. 1/2014, ha precisato che un vizio di procedura nel licenziamento non invalida la conciliazione sindacale in cui il lavoratore ha rinunciato a impugnare lo stesso licenziamento.
Il quesito – Confindustria ha avanzato richiesta di interpello in merito alla validità o meno di una conciliazione, conclusa in sede sindacale, nella quale il lavoratore rinunci al diritto a impugnare il licenziamento, anche nell’ipotesi in cui lo stesso sia stato effettuato in assenza del rispetto della procedura prevista dall’art. 7 della L. n. 604/1966.
La conciliazione – Si rammenta che la Riforma Fornero (L. n. 92/2012), prima di procedere al licenziamento per motivi economici, ha introdotto il tentativo di conciliazione (obbligatorio) che non può più essere invalidato da una finta malattia del lavoratore. In pratica, il licenziamento "economico" deve essere preceduto da una comunicazione preventiva alla D.T.L. dove ha sede l'unità produttiva, con la quale il datore di lavoro: comunica l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo; indica i motivi del licenziamento; illustra le eventuali misure di ricollocazione. Dopo la comunicazione, la D.T.L. convoca le parti entro un termine perentorio di 7 giorni (l'invio è valido se giunge al domicilio indicato nel contratto di lavoro o comunicato al datore di lavoro, oppure se consegnato a mano). Durante tale incontro le parti, con l'eventuale assistenza delle rispettive associazioni sindacali, o di un avvocato o di un consulente del lavoro, esaminano eventuali soluzioni alternative al recesso. La procedura si conclude entro 20 giorni dalla data di invio della convocazione a opera della D.T.L., salvo il caso in cui le parti non chiedano una proroga per arrivare a un accordo; se il lavoratore ha un legittimo impedimento, la procedura può essere sospesa per un massimo di 15 giorni.
La risposta del MLPS – In via preliminare, il Ministero del Welfare precisa che l’introduzione della procedura conciliativa di cui alla citata normativa lascia inalterata la disciplina e gli effetti di cui all’art. 2113 c.c. che dispone, con riferimento all’ultimo comma, un’eccezione alla previsione di invalidità delle rinunce e delle transazioni laddove le stesse siano realizzate attraverso la conclusione di un atto negoziale che – secondo i chiarimenti della giurisprudenza – sia riferibile a diritti compresi nella sfera di disponibilità giuridica del lavoratore. Quindi, le due procedure, rito di licenziamento e la conciliazione, benché accostati nel rito Fornero, sono indipendenti l’uno dall’altro, con l’unica limitazione che la seconda è atto necessario per il licenziamento secondo il rito Fornero. Pertanto, non sembrano sussistere motivazioni di ordine giuridico per ritenere che un vizio di natura procedimentale non sia ammissibile alla disciplina civilistica di cui al citato art. 2113 c.c. con i conseguenti corollari in ordine all’efficacia degli atti transativi conclusi in tale sede.
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