Premessa – Di recente diverse pronunce della giurisprudenza di merito sul nuovo rito introdotto dalla Riforma Fornero (Legge n. 92 del 2012) riguardante l’impugnazione dei licenziamenti riconducibili nell’ambito di applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, hanno sollevato parecchi dubbi in ordine alla concreta operatività delle nuove disposizioni. Molti sono i problemi riscontrati, tra cui: la facoltà o meno per chi presenta il primo ricorso di optare per il nuovo rito o per quello ordinario; la facoltà per il datore di lavoro di avvalersi del nuovo rito; la possibilità per il datore di lavoro di utilizzare il nuovo rito per domande diverse, ma contestuali a quella sull'illegittimità del licenziamento. Dunque, per i giudici si apre una stagione assai complessa, tra pronunce sperimentali - spesso contrastanti - e tentativi di tracciare una strada omogenea da percorrere al fine di giungere a pronunce uniformi all’interno dei singoli Tribunali.
Tribunali a confronto – Il nuovo rito del processo di lavoro, entrato in vigore il 18 luglio 2012, che avrebbe dovuto semplificare e velocizzare i processi relativi all’impugnazione dei licenziamenti (art. 18 dello Statuto sei lavoratori), ha invece provocato una notevole difformità d’interpretazione tra i vari Tribunali sparsi per l’Italia. Così, infatti, accade tra Roma e Milano: il Tribunale di Milano, con ordinanza del 25 ottobre 2012, dopo aver escluso l’applicabilità del rito Fornero alla controversia sottoposta al suo esame (in quanto presupponeva un accertamento relativo alla costituzione del rapporto di lavoro con un soggetto diverso dal datore di lavoro formale, con conseguente indagine istruttoria incompatibile con la sommarietà del rito), conclude la causa con una pronuncia di inammissibilità del ricorso. Le conseguenze dell’erroneità del rito prescelto mutano profondamente a Roma dove il Tribunale, con ordinanza del 31 ottobre 2012, dopo aver escluso l’applicabilità del nuovo rito alla controversia sottoposta al suo esame, conclude la causa, non con una pronuncia di inammissibilità, bensì con ordinanza di mutamento del rito ex art. 4 del D.Lgs. n. 150/2011. È evidente come le due pronunce comportino conseguenze profondamente differenti in quanto, a seguito della pronuncia di inammissibilità, il ricorrente dovrà depositare un nuovo ricorso ai sensi del’art. 414 e ss. c.p.c. (con ineliminabile duplicazione dei costi e dei tempi), mentre, a seguito della pronuncia di mutamento del rito, il giudizio proseguirà con l’udienza fissata dal Giudice, previa integrazione degli atti difensivi. Altro esempio di difformità si ha tra Bologna e Napoli: nel primo caso si è deciso che sarà lo stesso giudice che seguirà sia la prima fase del procedimento (che si apre di solito con l'impugnativa del licenziamento avanzata dal lavoratore) sia la seconda fase (l'appello contro la prima decisione sommaria, proposto di solito dal datore di lavoro); a Napoli si è invece deciso che le due fasi non potranno mai essere gestite dallo stesso giudice.
Rito fai-da-te – Ma l’interpretazione che ha fatto maggiormente discutere è quella di Firenze, che con il verbale del 17 ottobre 2012 ha definito "facoltativo" il nuovo rito, ammettendo la possibilità per il ricorrente di valutare come più utile un ricorso ex art. 414 c.p.c. quando l’impugnazione del licenziamento si associ a ulteriori domande (differenze retributive, diverso inquadramento, etc.).
I punti fermi – Nonostante la difformità d’interpretazione dei diversi Tribunali, sembra di capire che due sono sostanzialmente i punti saldi in merito: in primo luogo non v’è dubbio che il nuovo rito si applichi alle controversie instaurate dopo l’entrata in vigore della Legge n. 92/2012 (18 luglio 2012); ciò significa che il nuovo rito sarà instaurabile anche per l’impugnazione del licenziamento comminato prima dell’entrata in vigore della Legge Fornero. Altro punto fermo è che la proposizione dell’impugnazione mediante deposito del ricorso dinanzi al Tribunale in funzione di Giudice del lavoro competente per territorio, impedisca la decadenza di cui all’art. 32 della Legge n. 183/2010 come modificato dalla Legge n. 92/2012, anche se la scelta del rito si riveli errata. Pertanto, l’iniziativa giudiziaria - anche se errata - impedisce la decadenza dal termine pari a 180 giorni prevista dal Collegato Lavoro per il deposito del ricorso.
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