Perfino sui cambiamenti climatici, anzi sugli effetti che ogni giorno di più diventano visibili e inevitabili, l’Italia riesce a fare un po’ più degli altri. Ovviamente in peggio.
Lo racconta la sesta edizione di “Community Valore Acqua”, un report che si basa sull’elaborazione dei dati di “The European House – Ambrosetti”, una community che coinvolge operatori del ciclo idrico integrato, rappresentanti del mondo dell’agricoltura, provider di tecnologia e software, fornitori di macchinari e impianti e le Istituzioni nazionali ed europee di riferimento, “per favorire un confronto costruttivo e permanente sulle grandi sfide del Paese relative alla gestione della risorsa acqua e agli effetti del cambiamento climatico”.
Secondo la ricerca, dal 2015 ad oggi, per ogni italiano la crisi climatica ha un costo che è aumentato del +490%, portando la spesa pro-capite a sfiorare i 300€, quando la media europea non supera i 116€. A incidere di più sono le alluvioni (44%), seguite da tempeste (34%) e ondate di calore (14%).
Ma non è tutto, perché secondo stime globali, nel 2030 il 40% della popolazione mondiale sarà costretta a vivere in condizioni di stress idrico. “Le cause sono identificabili da un lato nell’aumento della popolazione e della produzione alimentare da agricoltura irrigua per soddisfare un fabbisogno crescente, dall’altro nell’inquinamento e nell’impatto dei cambiamenti climatici. E le analisi dell’Osservatorio della Community mostrano che l’Italia è un Paese ad alta vulnerabilità climatica, al penultimo posto in Europa per capacità di adattamento ai cambiamenti in atto”.
Gli effetti di un’altra estate “bollente”, che ogni anno riesce a infrangere il record di quella precedente, sono sotto gli occhi di tutti, e c’è il rischio concreto che l’Italia quest’anno “possa raggiungere la più alta anomalia termica della storia italiana, +1,75° C sopra la media - come teme Valerio De Molli, managing partner e Ceo di The European House – Ambrosetti – al momento, sono già 12 le Regioni italiane che quest’anno devono fare i conti con la siccità e la crisi idrica: oltre al caso della Sicilia, con tre laghi ormai scomparsi (Pergusa, Ogliastro e Fanaco) e numerosi comuni in cui l’acqua è razionata, risultano in stress idrico anche Basilicata, Puglia e Calabria. Peggio di noi in Europa fanno solo Spagna, Belgio e Grecia.
Va da sé che l’agricoltura, insieme alla produzione di energia elettrica, sia una delle prime vittime della siccità: secondo il rapporto tra 2022 e 2023 la produzione di miele si è ridotta del 70%, seguita da quella delle pere (63%) e delle ciliegie (60%), ma a soffrire è anche la produzione di olio d’oliva (-27%), vino e pomodori (-12%). Non va meglio, come accennato, nel settore energetico, che almeno al nord si è salvato grazie all’abbondanza di piogge che hanno sferzato per settimane intorno all’arco alpino permettendo la produzione di 25,92 terawattora, il 64,8% in più rispetto all’anno scorso. Ma visto che la pioggia non è una garanzia, il rischio è quello di veder affossare l’intero settore idroelettrico: “Se si dovessero raggiungere i +2°C di riscaldamento globale, la perdita di capacità idroelettrica in Italia raddoppierebbe e triplicherebbe se si raggiungesse un riscaldamento di 3°C in più nel Sud Italia e lungo l’arco alpino”, aggiunge Benedetta Brioschi di Teha.
Le soluzioni? Si sanno da tempo, ma restano lì. Punto primo, fondamentale, una corretta gestione dell’acqua attraverso “un aggiornamento delle infrastrutture in ottica di incremento dello stoccaggio e su un veloce processo di digitalizzazione della filiera estesa, oltre a un efficientamento della raccolta e gestione dei dati”, prosegue de Molli, ma oltre a questo serve anche cambiare il modo in cui si gestisce l’acqua, come più volte sottolineato da Valerio Dell’Acqua, Commissario Straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, secondo cui sarebbe importante concedere più poteri alle autorità di bacino: “Sono gli enti che possono aiutare il Paese a governare l’emergenza siccità affidando loro la pianificazione dell’approvvigionamento idrico primario e lasciando solo la gestione locale alle Regioni. L’unico strumento necessario per la pianificazione degli interventi è il bilancio idrico, che dev’essere redatto a livello di distretto in una visione più ampia che superi diatribe locali e regionali: i grandi nodi idraulici porteranno acqua da un punto A a un punto B del Paese superando confini regionali e distrettuali: non abbiamo più tempo per assistere a diatribe, tutti devono prendere coscienza del pesante impatto della gestione frammentata dell’acqua che pesa sul futuro dell’Italia”.
Disporre di una filiera idrica efficiente a 360° è un requisito essenziale per il funzionamento e la competitività di un Paese e della sua economia: “10 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs) introdotti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel settembre 2015 sono influenzati da una gestione efficiente delle risorse idriche – ricorda ancora il report - in questo scenario, l’ottimizzazione della risorsa acqua è un obiettivo comune per tutti gli attori della filiera idrica estesa: i gestori e gli operatori del settore civile, l’industria, i rappresentanti del mondo agricolo, i provider di tecnologia, gli sviluppatori di software, le Istituzioni locali e nazionali”.