4 settembre 2024

Manovra, spunta l’ipotesi di un tetto unico per i fringe benefit

L’ipotesi è di individuare una soglia di esenzione che non distingua più lavoratori con o senza figli. Ma l’esecutivo è anche al lavoro sui passaggi più delicati della nuova finanziaria

Autore: Germano Longo
Fra le ipotesi della prossima manovra, raccontano “rumors” parlamentari, circola con insistenza l’ipotesi di uniformare il meccanismo dei “fringe benefit”, termine con cui sono definiti i “compensi in natura” concessi dai datori di lavoro ai dipendenti. Una forma di welfare aziendale che ha riscosso un successo crescente e che ora l’esecutivo punta a uniformare, rendendo unica la soglia di esenzione dalla tassabilità. Secondo una recente ricerca di “The European House-Ambrosetti” per Edenred Italia, i fringe benefit si sono rivelati “uno strumento interessante per il benessere economico delle famiglie”, con una stima di acquisti che per quest’anno segna un aumento dello 0,8% rispetto al 2023.
Finora il tetto era 2.000 euro per i lavoratori con figli e 1.000 per gli altri, cifre che rappresentano la possibile forbice fra cui sarà deciso di standardizzare una somma uguale per tutti, ma con un upgrade in più: dopo la possibilità di pagare le utenze domestiche, arriva anche quella di coprire l’affitto o le rate del mutuo.

Malgrado voci che lo davano per cancellato, nell’ottica di incentivare la natalità, dovrebbe essere confermato anche il “bonus mamme”, l’esonero della contribuzione previdenziale fino a 3.000 euro annui per le lavoratrici con almeno tre figli messo a bilancio nel 2024 con 500 milioni di euro.

E l’esecutivo, secondo quanto ammesso dal sottosegretario all’economia Federico Freni nel corso di un’intervista, sarebbe al lavoro anche per estendere la seconda aliquota Irpef ai redditi sotto i 60mila euro, a patto di trovare le coperture necessarie. Obiettivi che stanno a cuore alla premier Meloni, che da sempre spinge per “concentrare le risorse a sostegno delle imprese che assumono e rafforzare il potere d’acquisto delle famiglie e dei lavoratori”. L’idea per il prossimo anno è una riduzione delle tasse per il ceto medio con abbassamento dell'aliquota intermedia dal 35 al 33%, ampliando anche la fascia di reddito del secondo scaglione, che passerebbe da 50 a 60mila euro.

Definitivamente smentite, al contrario, le indiscrezioni stampa secondo cui l’Assegno unico universale sarebbe stato rimodulato al ribasso, mentre decisamente più delicato resta il capitolo pensioni, al momento nel limbo, sospeso fra il tira e molla della Lega - che spinge per Quota 41 - ed FI che preferirebbe alzare le minime, due soluzioni che hanno il potere di agitare l’opposizione pensando al problema delle coperture. Al momento, sembra confermato che la manovra metterà mano alle pensioni minime, definite dalla Premier “una delle nostre priorità” ricordando che negli ultimi due anni il governo ha lavorato “per una rivalutazione piena di tutte le pensioni che arrivavano fino a 2.270 euro, garantendo che fossero adeguate pienamente al costo della vita, garantendo una rivalutazione al 120% per le pensioni minime, che sono cresciute in modo significativo”.

In pratica una serie di lavori preparatori al cantiere che vedrà nascere la prossima manovra, stimata in 25 miliardi di euro, che forte di un’economia in crescita, un aumento dell’occupazione e un export che tira sempre di più, sembra prospettare la possibilità di pensare a sostegni verso chi assume, oltre ad un alleggerimento delle tasse. L’idea è di prorogare la maxi-deduzione al 120% (130 per i giovani, donne e chi percepisce aiuti), a fronte di assunzioni a tempo indeterminato.

Ma tutto è legato al “PSB” (Piano strutturale di Bilancio) del Mef, il documento che sostituisce in Nadef nel dare confini e contorni, ma anche programmare obiettivi che per 5 anni non potranno più essere rivisti. Dopo un probabile passaggio parlamentare voluto dal ministro Giorgetti, il PSB sarà inviato a Bruxelles entro il 20 settembre.
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