L'adozione del lavoro agile comporta delle complessità in termini fiscali, soprattutto per quanto riguarda la determinazione della residenza fiscale. L'articolo 2, comma 2, del
Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 introduce e disciplina il concetto di "residenza fiscale". In particolare, secondo la disposizione menzionata, vengono considerate residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (cioè, 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile:
- sono registrate nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno il proprio domicilio nel territorio dello Stato italiano;
- hanno la propria residenza nel territorio dello Stato italiano.
L'articolo 3 del TUIR stabilisce altresì che i residenti in Italia sono tenuti a dichiarare e tassare tutti i loro redditi, senza distinzione di provenienza. Tale principio è noto come
"World Wide Taxation Principle" e consente a diversi Paesi di tassare i redditi guadagnati all'estero da cittadini italiani.
Nel caso di lavoro in smart working, le regole per determinare la residenza fiscale rimangono quelle stabilite dall'articolo 2 del TUIR. Questo significa che
il luogo di lavoro non influisce sui criteri di residenza fiscale. In altre parole, le modalità con cui viene svolta l'attività lavorativa non influiscono sui criteri per stabilire la residenza fiscale, che rimangono legati all'adempimento di almeno una delle condizioni elencate nell'articolo 2 del TUIR. Ad esempio, un cittadino straniero che lavora dall'Italia per un'entità estera può essere considerato residente fiscale in Italia se vi mantiene la principale sede dei suoi rapporti personali e affettivi. Analogamente, un italiano che lavora all'estero ma è ancora registrato anagraficamente in Italia, risulta residente fiscale italiano.
In merito, va considerato anche il principio delle
Convenzioni contro le doppie imposizioni tra l'Italia e il Paese estero in cui si genera il reddito. Infatti, le disposizioni presenti nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, sottoscritte dall'Italia con i vari Stati esteri, hanno una prevalenza, come evidenziato dall'articolo 169 del TUIR e dall'articolo 75 del D.P.R. n. 600/1973, confermato anche dalla giurisprudenza costituzionale.
Il Modello di Convenzione OCSE chiarisce che la residenza fiscale è determinata dalla legislazione di un particolare Stato, considerando il domicilio, la residenza, la sede di direzione, o criteri di natura analoga. In caso le norme entrino in conflitto, si applicano le
tie breaker rules per attribuire la residenza a uno Stato specifico. Queste regole privilegiano la
abitazione permanente e considerano in via subordinata il centro degli
interessi vitali, il
soggiorno abituale e la nazionalità. La nozione di abitazione permanente implica un uso duraturo e continuo, non legato a brevi soggiorni temporanei.
Elementi da considerare che possono influenzare il luogo in cui vengono pagate le imposte includono, quindi, la
durata del soggiorno all'estero e
l'iscrizione all'AIRE (Anagrafe degli italiani residenti all'estero). Dunque, per i lavoratori che svolgono attività in modalità smart working, ad esempio quando si tratta di
lavoratori tra Italia e Svizzera, diventa di cruciale importanza analizzare anche le convenzioni bilaterali che regolamentano la tassazione dei redditi.