L’art. 7 (Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria) della
legge 24/2017, Legge Gelli-Bianco, prevede che, qualora una struttura sanitaria si avvalga di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e non dipendenti dalla struttura, quest’ultima rimanga responsabile per le loro condotte dolose o colpose. Tuttavia, l’esercente la professione sanitaria risponderà personalmente qualora abbia causato il danno al di fuori dell’adempimento dell’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Ci sono di fatto due possibili azioni in caso di errore commesso da un sanitario che operi in una struttura (e per questo viene definito ausiliario): una di tipo contrattuale contro la struttura e una extracontrattuale nei confronti del sanitario.
Le due azioni si distinguono per il riparto degli oneri istruttori, più gravoso per il danneggiato in caso di responsabilità extracontrattuale.
Il contenzioso da negligenza ospedaliera (o comunque riconducibile a responsabilità di strutture sanitarie o socio sanitarie) è sempre più deviato verso le strutture, lasciando fuori l’ausiliario ogni volta che abbia una colpa difficile da provare.
E sarà ancora così, a maggior ragione, quando ci sarà il decreto attuativo previsto dall’articolo 10, comma 6 a completare la regolamentazione dell’azione diretta verso l’assicuratore della struttura (se quest’ultima non sceglie di “autoassicurarsi”).
Pertanto, il personale sanitario ausiliario può e potrà davvero godere, in fatto e in diritto, di uno statuto protettivo coerente con gli obiettivi della legge Gelli-Bianco, con pochissimi rischi risarcitori (che in ogni caso dovrebbero essere coperti “assicurativamente” dalla struttura).
Resta però di fatto un punto cruciale molto delicato: la possibilità, per la struttura che abbia risarcito il danno dopo condanna o transazione, di “rivalersi” sull’operatore materialmente responsabile dell’errore.
Quali possono essere eventualmente i rimedi?
Se fosse consentito all’ente di rivalersi integralmente, la rete di protezione cadrebbe.
Di conseguenza, per far “quadrare” il sistema, la legge 24/2017 ha previsto una riduzione del diritto di rivalsa, con limiti strutturali e quantitativi non solo per il danno erariale ma anche nel settore privato in ogni caso di regresso civilistico.
L’articolo 9 estende alle strutture private la limitazione dell’azione ai soli casi di dolo o colpa grave e, fuori dai casi di dolo, prevede un tetto di esposizione, pari al triplo della maggior remunerazione annua lorda conseguita nell’anno della condotta lesiva o in quello antecedente o successivo. Dispone inoltre che, se il sanitario non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento, l’azione di rivalsa può essere iniziata solo dopo il risarcimento e comunque, a pena di decadenza, entro un anno dall’avvenuto pagamento.
Le azioni di regresso si distinguono a seconda che vengano svolte nella sanità pubblica o in quella privata. I limiti alla rivalsa non si applicano ai liberi professionisti con rapporti contrattuali diretti col paziente (ex articolo 10 comma 2). Sono figure diverse dai semplici ausiliari, la cui qualificazione non giustifica le medesime tutele: la rivalsa, pur comunque condizionata a dolo o colpa grave, sarà dunque ammessa nei loro confronti senza limiti quantificativi.
Un’ulteriore limitazione della responsabilità erariale è stata stabilita in tempo di Covid dall’articolo 21, comma 2 del
DL 76/2020 (decreto Semplificazioni): per i fatti posti in essere tra il 17 luglio 2020 e il 31 dicembre 2021, la responsabilità amministrativa è limitata a quelli dolosi, purché riferibili a condotte commissive e non a omissioni o inerzie.
La norma, per quanto transitoria, appare di portata generale e quindi applicabile anche ai sanitari. Il che pone un’ulteriore differenziazione tra la rivalsa erariale e quella “gemella” del regresso civilistico, in ambito sia pubblico sia privato.