Già subito dopo l’incidente di Chernobyl (1986), in Italia il Dipartimento della Protezione Civile aveva cominciato ad occuparsi dell’elaborazione di un Piano Nazionale per le emergenze nucleari, che ha poi continuato a revisionare per adattarlo, di volta in volta, o ad interventi normativi frattanto disposti anche a livello comunitario (in particolare le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 92/3/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, recepite col D. Lgs. 17 marzo 1995, n. 230) o in considerazione dei danni da prevedere in relazione alla diversa gravità dei possibili incidenti nucleari, onde determinare gli interventi più adatti.
A partire dal 2010 il “Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche” di cui al DPCM 19 marzo 2010, pubblicato nella G.U. del 24 maggio ha assunto la sua definitiva formulazione, individuando le misure per fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari al di fuori del territorio nazionale (dal momento che, com’è noto, l’Italia non ha centrali nucleari attive) per cui sia richiesto un coordinamento delle risorse a livello regionale, nazionale, internazionale.
Il Piano è redatto ed aggiornato ogni tre anni dal Dipartimento della Protezione civile con il coinvolgimento del Dipartimento dei Vigili del Fuoco e delle Prefetture.
L’ultima revisione era iniziata a gennaio di quest’anno e, alla luce del recente conflitto russo-ucraino (in particolare dopo la presa di Chernobyl e l’attacco alla centrale nucleare di Zaporizhzhia), ha avuto un’accelerazione, tanto che la nuova bozza è stata divulgata nei giorni scorsi.
Il documento individua e disciplina le misure necessarie a fronteggiare le conseguenze di incidenti in impianti nucleari di potenza ubicati “oltre frontiera”, ossia prossimi al confine nazionale, in Europa e in paesi extraeuropei, sicché si rendano necessarie azioni a livello nazionale che non rientrino tra i presupposti per l’attivazione delle misure di Difesa Civile, di competenza del Ministero dell’Interno.
“A seguito di un incidente severo a una centrale nucleare” – vi si legge – “e sulla base di valutazioni dosimetriche, si può presentare la necessità di intervenire per ridurre l’esposizione a radiazioni ionizzanti. L’esposizione può avvenire in modo diretto (inalazione da aria contaminata, irraggiamento diretto da suolo e da nube), a seguito del passaggio della nube radioattiva o in modo indiretto, per inalazione da ri-sospensione o ingestione di alimenti e bevande contaminati”.
Più nel dettaglio, il documento specifica quali sono le fasi dell’emergenza (la prima, che inizia con il verificarsi dell’evento e si conclude quando il rilascio di sostanze radioattive è terminato; la seconda, che è quella successiva al passaggio della nube radioattiva, ed è caratterizzata dalla deposizione al suolo delle sostanze radioattive e dal loro trasferimento alle matrici ambientali e alimentari; la terza, che è quella di “convivenza” con le radiazioni e dell’ottimizzazione della strategia di protezione), dettagliando anche quali siano le misure da adottare per ciascuna di esse.
A riguardo individua: misure protettive dirette, da adottarsi nelle prime ore dal verificarsi dell’evento, indicando il “riparo al chiuso” (che consiste nell’indicazione alla popolazione di restare nelle abitazioni, con porte e finestre chiuse e i sistemi di ventilazione o condizionamento spenti, per brevi periodi di tempo - di norma poche ore - con un limite massimo ragionevolmente posto a due giorni, oltre ad una serie di altre indicazioni) e la “iodoprofilassi” (l’assunzione di iodio stabile per contrastare l'assorbimento di iodio radioattivo nelle persone più fragili e prevenire gli effetti più gravi delle radiazioni, come il tumore tiroideo); e misure protettive indirette, quali restrizioni alla produzione, commercializzazione e consumo di alimenti di origine vegetale e animale, misure a protezione del patrimonio agricolo e zootecnico, e monitoraggio della radioattività nell’ambientale e delle derrate alimentari.
Vengono inoltre analizzati i tre scenari possibili legati a un incidente all’estero (incidente a un impianto posto entro 200 km dai confini nazionali; incidente a un impianto posto oltre 200 km dai confini nazionali; incidente a un impianto extraeuropeo).
Oltre a ciò, il Piano prevede anche l'assistenza ai cittadini italiani che si trovano in una Paese estero interessato da un'emergenza nucleare nonché indicazioni per una gestione razionale dell'informazione alla popolazione, che deve essere unitaria e coordinata affinché non si diffondano notizie non sicure e non suffragate da dati certi.
Da ciò la necessità che i messaggi veicolati siano univoci e non equivocabili, una cautela, questa, che potrebbe intendersi anche come un monito indiretto a contenere il dilagare di false notizie cui spesso sono i social a contribuire.
Valga ciò anche a proposito delle ragioni della formulazione di questo documento, che, sia ben chiaro, al di là della specifica contingenza del momento, rispondono comunque al rispetto di una “scadenza” predefinita e non ad un allarme imminente e concreto da contrastare.