“Il nostro Paese si dota di uno strumento che traccia con pragmatismo la nostra strada energetica e climatica, superando approcci velleitari del passato. È un Piano che abbiamo condiviso con i protagonisti della transizione, che non nasconde i passi ancora necessari per colmare alcuni gap, ma si concentra sulle grandi opportunità derivanti dallo sviluppo di tutte le fonti, senza preclusioni”. Con queste parole, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha commentato l’invio a Bruxelles del nuovo Pniec (Piano nazionale Integrato per l’Energia e il Clima), aprendo di fatto al ritorno al nucleare dell’Italia con l’obiettivo di decarbonizzare la produzione energetica e combattere tanto il fenomeno del riscaldamento globale quanto i cambiamenti climatici che sempre più spesso mettono in ginocchio intere zone del Paese.
Nelle 491 pagine, il piano programmatico contiene “per la prima volta, una specifica sezione dedicata ai lavori della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile che ha sviluppato delle ipotesi in cui si dimostra da un punto di vista tecnico-scientifico la convenienza energetica ed economica di avere una quota di produzione nucleare, in sinergia e a supporto delle rinnovabili”.
Una quota valutata per il 2050 in circa l’11% del fabbisogno energetico, “con una possibile proiezione verso il 22%”. Al momento si tratta di ipotesi, specifica il ministero, che tuttavia potranno avverarsi al netto di “opportune e necessarie modifiche legislative. Si tratterebbe di impianti di ultima generazione in grado di garantire tanto la sicurezza del sistema elettrico quanto di mantenere la stabilità dei prezzi”.
Ma malgrado le rassicurazioni e le opportunità, il nucleare resta pur sempre un argomento assai divisivo, su cui le opposizioni hanno già fatto sentire il proprio dissenso, insieme a numerose associazioni ambientalistiche. Secondo il PD, “Il governo pensa solo a nucleare e rischia di vanificare gli impegni su rinnovabili e efficientamento”, mentre il Movimento 5 Stelle rincara la dose “Pichetto Fratin fa rotta su gas e nucleare in favore delle lobby”.
Come se non bastasse, al coro si uniscono Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Transport&Environment e WWF Italia, che parlano di “Pniec irrazionale: l’operazione vera è mantenere lo status quo perché, dopo che in Italia due referendum si sono espressi in senso contrario, il nucleare avrebbe tempi ben più lunghi di quelli per una rapida decarbonizzazione, senza considerare i rilevanti rischi”.
In effetti, a ben vedere il piano dovrebbe contenere gli impegni per raggiungere gli obiettivi comunitari sul clima, ma mancano indicazioni concrete su come il governo intenda centrare l’obiettivo entro il 2050 attraverso l’atomo assicurando 8 Gigawatt, circa l'11% del fabbisogno nazionale previsto, né tantomeno come tutto questo possa comportare un risparmio di 17 miliardi di euro rispetto a un investimento incentrato soltanto sulle fonti rinnovabili. In realtà, per i dettagli bisognerà attenere il prossimo anno, con un altro documento programmatico dedicato alla strategia italiana di riduzione delle emissioni a effetto serra.
Il capitolo del Pniec con le performance più alte resta comunque quello delle rinnovabili, con la previsione che i 131 Gigawatt previsti al 2030 deriveranno per il 79,2% dal solare, per il 28,1% dall'eolico, il 19,4% dall'idrico e il 3,2% dalle bioenergie, più un Gigawatt di fonte geotermica. In totale, la quota arriverà al 39,4% rispetto ai consumi finali lordi, ma considerando solo il settore elettrico la quota sarà pari al 63%. Un balzo deciso, al contrario, sarà quello dell’idrogeno da rinnovabili, che partendo dallo zero assoluto di due anni fa, da solo potrebbe raggiungere il 54% dell’idrogeno totale utilizzato nell'industria.
In tema di previsioni, il Pniec immagina una diminuzione pari al 26% delle emissioni dei trasporti grazie al processo di elettrificazione del parco auto circolante in Italia, così come nel settore residenziale il -32% delle emissioni sarà reso possibile dall’alto tasso di ristrutturazione degli edifici.