Normalmente tutti coloro che godono di un contratto da dipendente hanno diritto al trattamento di fine rapporto, cioè al pagamento di una determinata somma di denaro da corrispondere al termine del rapporto di lavoro.
Il Trattamento di fine rapporto è un elemento retributivo che, pur maturando in ogni mese di vigenza del contratto, è liquidato solo alla cessazione del rapporto. Inoltre, ogni dipendente deve scegliere dove accantonare il proprio TFR.
A seconda di quelle che sono le scelte del lavoratore e le dimensioni dell’azienda, il TFR può essere maturato e liquidato:
- dal datore di lavoro, il cosiddetto “TFR in azienda”;
- dal datore di lavoro ma le somme sono a carico del Fondo Tesoreria INPS (nel caso siano più di 49 dipendenti);
- dai fondi di previdenza complementare al momento dell’accesso alla pensione.
Cos’è il TFR - Il trattamento di fine rapporto (TFR) è una somma calcolata annualmente sulla retribuzione lorda di ciascun dipendente e accantonata dal datore di lavoro.
Il TFR annuo corrisponde a circa una mensilità dello stipendio ed è pari al 6,91% della retribuzione lorda annua.
Destinazione TFR – Ogni dipendente, al momento dell’assunzione, si vedrà consegnare dal datore di lavoro il modello TFR2. Compilando questo documento, il lavoratore esprime la scelta se mantenere il TFR In azienda (o Fondo tesoreria) o, al contrario, destinarlo a un fondo di previdenza complementare.
In questa seconda ipotesi è necessario:
- indicare il nome del fondo di previdenza;
- riportare la data di adesione al fondo;
- allegare al modello compilato copia del documento di adesione.
Il modello TFR2 dev’essere riconsegnato entro 6 mesi dall’assunzione. In caso contrario, nel silenzio del lavoratore, opera il meccanismo del silenzio-assenso: il trattamento di fine rapporto confluisce automaticamente nel fondo pensione previsto dal contratto collettivo di lavoro o, in presenza di più fondi, in quello a cui è iscritto il maggior numero di dipendenti.
La scelta di aderire alla previdenza complementare (il fondo pensione) è irrevocabile, mentre quella di lasciare il TFR in azienda può in ogni momento essere modificata.
Se nel precedente rapporto di lavoro la scelta è stata quella di mantenere il TFR in azienda, il nuovo datore di lavoro continuerà a fare lo stesso, ferma restando la possibilità da parte del dipendente di rivedere, in ogni momento, la scelta a suo tempo effettuata e conferire il TFR futuro a una forma pensionistica complementare.
TFR in azienda - Per i dipendenti che decidono di mantenere il TFR In azienda, la gestione del TFR avviene in due modi differenti, a seconda della dimensione dell’azienda:
- per le aziende fino a 49 dipendenti, la gestione del TFR è di competenza del datore di lavoro;
- per le realtà con almeno 50 dipendenti il datore di lavoro versa il TFR maturato al Fondo Tesoreria INPS.
Nel secondo caso, il versamento del TFR al Fondo Tesoreria è dovuto per tutti i lavoratori, eccezion fatta per i dipendenti:
- con rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 3 mesi;
- a domicilio;
- domestici;
- stagionali del settore agro–alimentare, per i quali il termine del rapporto di lavoro non è prestabilito ma legato al verificarsi di un evento;
- impiegati, quadri e dirigenti del settore agricolo, assicurati per il TFR presso ENPAIA;
- per i quali i Ccnl (o gli accordi secondo livello) prevedono l’accantonamento delle quote di TFR maturate presso soggetti terzi (si pensi, ad esempio, ai lavoratori dell’edilizia il cui TFR è accantonato presso le Casse edili) ovvero la liquidazione periodica.
In sostanza, l’azienda versa mensilmente, con modello F24, il TFR maturato dai dipendenti al Fondo tesoreria.
In sede di cessazione del rapporto:
- le quote accantonate (e rivalutate) di TFR vengono anticipate in busta paga dal datore di lavoro;
- il datore di lavoro recupera nei confronti dell’INPS le somme anticipate in cedolino, utilizzandole come credito di imposte che diminuisce l’ammontare dei debiti dovuti all’INPS.
Rivalutazione del TFR – Le quote di TFR accantonate al Fondo Tesoreria vengono rivalutate con le stesse modalità previste per le somme rimaste in azienda. L’unica differenza è che la rivalutazione (al pari della quota mensile di TFR) è a carico dell’INPS.
La rivalutazione del fondo si calcola applicando un tasso costituito dal valore fisso dell’1,5% più il 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo secondo l’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Di conseguenza, alla cessazione del rapporto (ovvero nelle ipotesi di anticipo del TFR) al dipendente spetta la somma delle due componenti: accantonamento annuale + rivalutazione. A differenza di quanto accade con il TFR lasciato in azienda o versato al Fondo Tesoreria, le somme versate alla previdenza complementare vengono investite in base al profilo di rischio scelto dall’aderente. Ad esempio un profilo “dinamico” vede le somme investite prevalentemente sui mercati azionari e, in misura inferiore, su quelli obbligazionari.
L’accantonamento del TFR conviene più in azienda o nel fondo pensione?- Solitamente, si afferma che la destinazione più conveniente del trattamento di fine rapporto sia quella del fondo pensione. Ciò è dovuto a diverse ragioni, la prima delle quali è sicuramente di tipo fiscale, in quanto:
- il TFR in azienda non viene tassato subito, ma solo al momento in cui il lavoratore lo riceverà come liquidazione al termine del rapporto di lavoro. In questo caso, sarà sottoposto a tassazione separata ad aliquota media degli ultimi cinque anni, comunque non inferiore al 23%;
- la stessa cosa avviene in caso di accantonamento al Fondo Tesoreria il TFR è soggetto a tassazione separata che, a seconda dei casi, può toccare percentuali pari o superiori al 23%.
Al contrario, in caso di adesione alla previdenza complementare, le somme liquidate al pensionamento, relativamente ai contributi versati dal 1° gennaio 2007, subiscono una ritenuta a titolo d’imposta del 15%.
Tuttavia, se l’anzianità di partecipazione al fondo è superiore ai 15 anni, l’aliquota diminuisce dello 0,30% per ogni anno di successiva adesione, sino al limite massimo di riduzione corrispondente al 6%.
Di conseguenza, gli aderenti che hanno totalizzato 35 anni di partecipazione al fondo pensione vedranno applicarsi una tassazione al 9% e non al 15%.
Da notare che la parte di rendita derivante da contributi non dedotti o dai rendimenti della gestione, è completamente esente da imposte.
Ultima ma non meno importante è la deducibilità dall’Irpef (entro il limite di 5.164,57 euro) dei versamenti a carico del contribuente e/o del datore di lavoro.
Altra differenza molto importante da valutare prima di scegliere l’uno o l’altro, riguarda l’accessibilità alle somme accantonate. Il TFR accantonato in tesoreria o in azienda è liquidato alla cessazione del rapporto. Al contrario, eccezion fatta per le anticipazioni e i riscatti (soggetti comunque ad una serie di requisiti) le somme destinate alla previdenza complementare saranno disponibili solo al pensionamento.