8 luglio 2021

La battaglia delle bollicine

La Russia autorizza la denominazione “champagne” ai propri vini frizzanti, mettendo al bando tutti gli altri. Le proteste dei produttori francesi e le speranze degli italiani, che si salvano grazie agli spumanti. Ma guai all’orizzonte si profilano anche per il Prosecco nostrano, messo sotto attacco dal Prosek croato

Autore: Antonio Gigliotti
È la solita guerra di nervi fra Russia ed Europa, due blocchi che nei faccia a faccia internazionali spacciano sorrisi e strette di mano promettendo cooperazione, ma sulla strada di casa meditano qualche dispetto. L’ultimo, sottoscritto da Vladimir Putin in persona, prende di mira lo “champagne”, il più nobile, austero e celebrato dei vini frizzanti, vanto della produzione vitinivicola francese, verso cui il capo del Cremlino ha deciso di assestare un colpo da ko tecnico alla prima ripresa.

Una legge appena firmata, autorizza l’uso della “sacra” denominazione champagne (шампанское, per chi ha dimestichezza con il cirillico), solo per i vini frizzanti prodotti entro i larghissimi confini russi. Ciliegina sulla torta, togliere dal commercio tutti gli altri, quelli stranieri, che saranno ammessi solo dietro la denominazione “spumante”. Forse in modo del tutto inatteso, una strizzata d’occhio alla produzione italiana che fa gongolare i produttori di Prosecco, molto apprezzato in Russia, come dimostra una crescita della domanda nel primo trimestre dell’anno cresciuta del 37% e un 2020 chiuso con 25 milioni di bottiglie consegnate in Russia. Il vino, va ricordato, è l’unico settore non colpito dalle sanzioni che al contrario hanno colpito le esportazioni di formaggi e salumi italiani, come reazione a quelle imposte dal nostro Paese contro la guerra del Donbass, che vede i separatisti filorussi schierati contro le forze ucraine.

La Francia produce 231 milioni di bottiglie di champagne all’anno, che sulla bilancia delle esportazioni valgono 2,6 miliardi di euro, e quasi 6 milioni di bottiglie ogni anno raggiungono la Russia, dove il pregiato vino frizzante francese rappresenta il 13% delle importazioni annue totali. In fondo poca roba, se paragonate ai 21 milioni di bottiglie che sbarcano ogni anno negli Stati Uniti e i 20 assorbiti dal Regno Unito, ma in tempi di cinghie da tirare, tutto vale.

Il coro delle proteste francesi si è levato all’unisono, partendo dalle associazioni dei produttori di champagne, che chiedono alla diplomazia ogni sforzo possibile per “modificare una legge inaccettabile e scandalosa”. La reazione più forte, per adesso, è quella del conglomerato del lusso “LVMH”, che ha annunciato la sospensione temporanea delle spedizioni in Russia di Vevue Clicquot e Dom Pérignon.

Obiettivo di Putin, secondo “The Guardian”, non è tanto pestare i piedi agli interessi europei, ma ridare fiato alla produzione vinicola interna, ferma al palo e soprattutto quasi dimenticata dai mercati mondiali. In particolare, Vladimir sa di avere nella Crimea una sorta di “Napa Valley”: lì si produce lo “shampanskoe”, secondo gli esperti una copia triste e malinconica del prosecco, bevuto da quando il paese si chiamava ancora URSS. Per Putin sarebbe quindi un passaggio fondamentale nel rilancio della Crimea, annessa a forza nel 2014 e da allora, malgrado una massiccia campagna di investimenti e infrastrutture, capace di perdere un terzo della produzione vinicola del Paese.

Ma se Parigi si innervosisce, anche Roma ha qualche prurito di troppo. Sui tavoli di Bruxelles è arrivata la richiesta della Croazia di riconoscere con marchio protetto del “Prosek”, vino dolce istriano prodotto da uve rosse. Le avvisaglie di un’altra battaglia.
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