La pronuncia del Consiglio di Stato sulla questione sollevatasi riguardo alla gestione delle cure domiciliari per il Covid da parte del Medico di medicina generale e del Pediatra di libera scelta è infine arrivata, ed è andata in totale controtendenza rispetto a quanto deciso dal TAR Lazio lo scorso dicembre.
Come si ricorderà, il Comitato Cura Domiciliare Covid aveva proposto ricorso avverso la Circolare del Ministero della Salute del 26 aprile 2021 (che aveva aggiornato quella del 30 novembre 2020, nota come “protocollo Speranza”) per ottenerne l’annullamento nella parte in cui, “nei primi giorni di malattia da Sars-Cov-2, prevede unicamente una “vigilante attesa” e somministrazione di fans e paracetamolo e nella parte in cui pone indicazioni di non utilizzo di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da Covid” (cfr.”Sul duello TAR/Consiglio di Stato circa le cure domiciliari per il covid” su Fiscal Focus del 22 gennaio 2022).
In accoglimento del ricorso, il TAR Lazio aveva affermato che “è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito” e aveva perciò ritenuto che il contenuto dell’indicata Circolare, imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, si ponesse in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale .
Con la sentenza n. 946/2022 del 3 febbraio scorso, adottata in Camera di Consiglio dopo la sospensiva concessa il 19 gennaio sull’impugnativa della pronuncia del TAR promossa dal Ministero della Salute, il Consiglio di Stato è giunto ad ribaltamento totale della detta decisione ed alla conseguente conferma del “protocollo Speranza”, precisando che le indicazioni in esso contenute, diversamente da quanto sostenuto dall’originario ricorrente, corrispondono a mere indicazioni, raccomandazioni, e non a prescrizioni vincolanti. Il medico che cura un paziente domiciliare affetto da Covid 19 è perciò libero di prescrivete i farmaci che ritiene più appropriati al caso specifico, purché in base a evidenze scientifiche acquisite.
Il Consiglio di Stato nella sua motivazione ha infatti precisato che la Circolare contestata si limita a raccogliere le indicazioni degli organismi internazionali, i pronunciamenti delle autorità regolatorie e gli orientamenti di buona pratica clinica asseverati dagli studi nazionali ed internazionali, al fine di fornire a tutti gli operatori interessati un quadro, aggiornato ed autorevole, di riferimento.
Che si tratti di mere indicazioni/raccomandazioni è reso evidente, prima di tutto, dal tenore testuale della circolare, posto che non vi si istituiscono divieti e precetti e si fa riferimento, piuttosto, a «indicazioni di gestione clinica». Essa, dunque, a differenza di quanto ritenuto dal TAR in accoglimento del ricorso, non contiene semplicemente una lista dei “farmaci da non usare” ma reca solo la definizione di condizioni per le quali le evidenze di letteratura consentono di stimare l’efficacia di un farmaco raccomandandone o meno l’utilizzo, così da non realizzare alcuna interferenza con l’autonomia prescrittiva del medico.
Ha quindi ribadito che “la circolare come quella in contestazione, con la quale si informano strutture ed operatori sanitari delle raccomandazioni adottate dall’AIFA e delle più aggiornate acquisizioni scientifiche, oltre che dei pronunciamenti delle istituzioni internazionali e delle agenzie regolatorie in generale, costituisce insomma sono strumento attuativo del dovere istituzionale, da parte del Ministero, di adottare strumenti di indirizzo e coordinamento generale per garantire l’adeguatezza delle scelte terapeutiche e l’osservanza delle cautele necessarie, ampliando la base scientifica informativa sulla cui scorta il medico è chiamato a compiere la scelta di cura. Ciò a maggior ragione, come pure rileva il Ministero appellante, in un contesto pandemico, caratterizzato dall’assoluta novità dell’epidemia da COVID-19 e dall’assenza di prassi consolidate cui attenersi. L’unitarietà di indirizzo nell’approccio terapeutico alla pandemia è, del resto, un principio di intuitiva percezione, sul quale, sia pure pronunciandosi in altro campo, la stessa Corte Costituzionale ha recentemente avuto occasione di soffermarsi, sottolineandone l’importanza in una gestione sanitaria unitaria e coordinata (v.,in particolare, Corte cost. 12 marzo 2021, n. 37).”
Per completezza di informazione va comunque rilevato che il testo delle Linee guida di cui alla contestata Circolare è stato aggiornato lo scorso 10 febbraio (Circolare del Ministero della Salute n. 3435-10/02/2022) e, pur continuando a suggerire tra le “raccomandazioni di gestione clinica” del paziente il monitoraggio dei parametri vitali, la misurazione della saturazione, l’uso di paracetamolo e antinfiammatori, non contiene più l’espresso riferimento alla “vigile attesa”.