Con un documento redatto dall’Ufficio del Massimario in risposta ad un questionario proveniente dalla Corte Suprema della Repubblica Ceca, la Corte di Cassazione ha fornito alcune indicazioni sui temi degli incarichi extragiudiziari svolti dai magistrati e delle condotte tenute dagli stessi sulle piattaforme social media.
Sul primo argomento, riguardo all’attività secondaria (dunque extragiudiziaria) svolta dai magistrati la Corte ha ricordato che essa è disciplinata sia da norme di legge che da norme di regolamento: le prime, ne dettano la disciplina fondamentale; le norme regolamentari, contenute nelle Circolari del Consiglio Superiore della Magistratura, ne dettano la disciplina specifica e regolano le procedure autorizzatorie.
Con riferimento alla disciplina fondamentale, è fatto richiamo a tutte quelle previsioni che, nella sostanza, ricalcano le norme costituzionali tendenti a garantire l’indipendenza e l’imparzialità delle funzioni giudiziarie e quelle che mirano ad evitare che i magistrati compiano attività che possano pregiudicarne la credibilità ed il prestigio proprio e dell’intero ordine giudiziario o che possano interferire con lo svolgimento del lavoro d’ufficio, pregiudicando il buon andamento e l’efficienza del servizio giustizia.
A tal riguardo, vengono pertanto fornite esplicite specifiche su quali siano le attività secondarie consentite (tutte quelle che costituiscono espressione di diritti fondamentali, come la libertà di manifestazione scritta e verbale del pensiero, di associazione, di esplicazione della personalità, come, per esempio, la collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; la produzione artistica e scientifica, etc.); quelle dalle quali i magistrati sono esplicitamente richiesti di astenersi (le attività o gli atti di consulenza consistenti in prestazioni abitualmente fornite da liberi professionisti; gli incarichi di giustizia sportiva; l’organizzazione e, più in generale, la partecipazione alla gestione economica, organizzativa e scientifica di scuole private di preparazione a concorsi o esami per l’accesso al pubblico impiego, alle magistrature e alle altre professioni legali; l’attività di docenza, anche occasionale, nelle predette scuole; etc.); nonché quelle che sono consentite dietro autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura (es.: gli incarichi conferiti dalla legge direttamente a magistrati, in via esclusiva o in alternativa a soggetti appartenenti ad altre categorie; gli incarichi conferiti da organi costituzionali - quali la Presidenza della Repubblica, la Corte costituzionale, il Parlamento e le sue Commissioni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, i singoli Ministeri – o dalle Autorità amministrative indipendenti; gli incarichi conferiti da enti pubblici funzionali all’attuazione di valori costituzionali primari; gli incarichi conferiti dall’Unione Europea, dal Consiglio d’Europa, dalle Nazioni Unite, dall’Organizzazione internazionale del Lavoro o da Istituzioni di eguale natura), con la precisazione di quale sia la procedura – “semplificata” o “ordinaria” – necessaria per ottenere siddetta autorizzazione.
La parte, tuttavia, più interessante del documento è quella relativa al tema della condotta dei magistrati sui social, che non è invece oggetto di una specifica disciplina giuridica.
La premessa è che si debba distinguere tra l’attività di comunicazione istituzionale con la stampa e i mass media svolta nell’ambito degli uffici giudiziari e quella compiuta dai singoli magistrati sui social network.
Mentre la prima è oggetto di regole che assumono valore di linee guida, raccomandazioni o direttive indirizzate ai capi degli uffici, assunte dal Consiglio Superiore della Magistratura con una Delibera dell’11 luglio 20181, la seconda non è invece oggetto di regolamentazione positiva, neppure nella forma di regole non vincolanti aventi funzione di direttive o raccomandazioni. Pertanto, deve ritenersi che essa trovi la sua misura e i suoi limiti nelle norme che connotano la deontologia del magistrato.
Ed a tal proposito il documento si rifà all'intervento del Presidente della Repubblica (che è anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) che, in occasione dell'inaugurazione dei corsi di formazione della Scuola Superiore della Magistratura per l'anno 2019, ha sottolineato che "l’osservanza della regola della sobrietà dei comportamenti, che costituisce un aspetto della deontologia professionale del magistrato, impone un rigoroso self-restraint nell’uso dei social network e delle mailing list, sul rilievo che tali strumenti, ove non amministrati con prudenza e discrezione, possono vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l’azione dei magistrati e potrebbero offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria”.
Rispondendo, poi, alla specifica domanda sui limiti delle attività dei magistrati sui social network, il documento precisa che essi sono particolarmente penetranti con riguardo alle espressioni, esternazioni o pubblicazioni che hanno legami con i contenuti dei procedimenti trattati nell’ufficio o con le persone in essi coinvolti, “giacché la legge recante la disciplina degli illeciti disciplinari stabilisce che il magistrato esercita le funzioni con correttezza, riserbo ed equilibrio e rispetta la dignità della persona nell’esercizio delle funzioni (art.1 d.lgs. n. 109 del 2006).” Ne consegue che “le predette espressioni, esternazioni o pubblicazioni, dunque, a certe condizioni, possono costituire un illecito disciplinare allorché siano tali da tradursi in gravi scorrettezze nei confronti delle parti, dei difensori, dei testimoni o di qualunque soggetto coinvolto nel procedimento o nei confronti di altri magistrati (art.2, lett. d), d.lgs. n.109 del 2006)”.
Qualora, invece, l’attività dei magistrati sui social network si riferisca ad espressioni o pubblicazioni di natura privata, parimenti deve ritenersi limitata “poiché la regola della sobrietà nei comportamenti impone di non eccedere nell’esibizione virtuale di frammenti di vita privata che dovrebbero restare riservati, al fine di non pregiudicare il necessario credito di equilibrio, serietà, compostezza e riserbo di cui ogni magistrato (e, quindi, l’intero ordine giudiziario) deve godere nei confronti della pubblica opinione.”
In questa prospettiva, conclude il testo, le regole deontologiche impongono un self-restraint ancor più rigoroso nei casi in cui le esternazioni o le pubblicazioni (ma anche la creazione di "amicizie" o "connessioni" virtuali o la partecipazione a "gruppi" o a "follow") abbiano rilevanza politica o investano temi di interesse generale.
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1Queste linee guida integrano la disciplina generale prevista per i soli uffici requirenti dall’art.5 del d.lgs. n. 5 del 2006 e recepiscono le raccomandazioni e i pareri di organismi internazionali (ad es. la Racc. n. 12 del 2010 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa; il rapporto del 1° giugno 2018 dell’European Network of Councils for the 8 Judiciary; i pareri del Consiglio consultivo dei giudici europei del 2005, 2010 e 2011). Per la Cassazione sono tre le esigenze che richiedono di disciplinare tale attività: 1) contemperare i valori della trasparenza e comprensibilità della giurisdizione con il carattere riservato, talora segreto, della funzione, sul presupposto che il contemperamento tra tali valori, tutti correlati ai principi di indipendenza e autonomia della magistratura e ad una moderna concezione della responsabilità dei magistrati, aumenti la fiducia dei cittadini nelle istituzioni deputate all’amministrazione della giustizia; 2) tutelare il diritto di informazione dei cittadini, sul presupposto che i procedimenti giudiziari e le questioni relative alla giustizia siano di pubblico interesse; 3) che i rapporti dei magistrati con i mass media siano improntati alla moderazione e alla compostezza.