Insieme alla mamma e alle vacanze estive, le pensioni fanno parte del trittico degli argomenti più ostici da affrontare per qualsiasi governo. Metterci mano facendo combaciare da una parte le risorse e dall’altra gli umori degli italiani non è mai stato semplice, e più il tempo passa e più la faccenda si complica, come in modo neanche tanto velato ha avvertito l’Inps qualche giorno fa scatenando un putiferio. Appunto.
Ma quello delle pensioni è anche un capitolo fra i più scottanti della Manovra 2025, passaggio che richiede un’accuratezza millimetrica nella gestione dei denari pubblici alla ricerca di un punto di equilibrio quasi impossibile da raggiungere: non scontentare nessuno, o meglio, scontentare il meno possibile.
L’ultima volta che un Governo ha messo mano al capitolo pensioni risale al 2012, con l’ormai celebre e discussa Riforma Fornero, anche se da allora il sistema previdenziale italiano ha attraversato cambiamenti profondi, infarciti da una lunga teoria di misure temporanee valide per periodi limitati come quota 102, quota 100, Opzione Donna e Ape sociale.
Per saggiare il terreno su idee e proposte, il Governo ha scelto di anticipare a sindacati e imprese una bozza del Piano strutturale di bilancio prima del passaggio in Consiglio dei Ministri e alle Camere. Ma il tasto su cui i sindacati hanno battuto di più – insieme a sanità, fisco e contratti - è proprio quello delle pensioni, ricevendo in cambio parziali rassicurazioni dal ministro del Mef Giancarlo Giorgetti, che dopo aver garantito un “approccio prudente e responsabile”, ha elencato le priorità dell’esecutivo Meloni: rendere strutturali in maniera sostenibile misure come la riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori a basso e medio reddito e la riforma delle aliquote Irpef. Per i contratti di lavoro pubblico, al momento vale l’impegno formale di recuperare il 2% annuo, ovvero i valori dell'inflazione.
Toccando l’argomento pensioni, al momento nulla sembra lasciar presagire un cambio di rotta, ma piuttosto sulla rivalutazione in chiave inflazionistica, così come per la sanità, per cui l’obiettivo è mantenere la spesa sopra l’1,5% del Pil previsto per i prossimi 7 anni.
Ben più corposo, al contrario, è il capitolo riforme, concentrato su quattro aree d’azione: giustizia, Pubblica Amministrazione, transizione green e fiscalità. Sulla prima, l’obiettivo è puntare ad un accorciamento dei tempi del processo civile attraverso efficientamento e digitalizzazione, per la P.A. il tentativo di migliorare l’efficienza e la spesa. Segue un ritocco all’imprenditoria per aumentare la concorrenza in chiave green e per finire la parte fiscale, con aumento delle compliance e recupero della base imponibile.
La Commissione UE, con un punto di vista definito “poco espansivo”, non permette grandi spazi di manovra sul capitolo investimenti e chiede anche un impegno del Governo a non aumentare la voragine del debito pubblico attraverso la spending review e la richiesta di un contributo – che non va considerato una tassa sugli extraprofitti - alle imprese che in questi anni tra crisi e prezzi impazziti hanno guadagnato di più. L’Abi (Associazione Bancaria Italiana), non ha escluso l’ipotesi di fare la propria parte, garantendo “maggiore liquidità al bilancio dello Stato”.
Un’ipotesi che il segretario della Uil Bombardieri ha già respinto, considerando quello che di fatto sarebbe un prestito in una “forma di carità” e non una redistribuzione dei capitali guadagnati mentre il Paese “è in forte sofferenza”. Stesso tenore da parte del segretario Cgil Landini, che nella manovra intravede “il rischio di sette anni di politiche austerità, sacrifici e tagli”. Più aperto al confronto Sbarra, segretario della Cisl: “Siamo disponibili a ragionare per dare strutturalità al taglio del cuneo contributivo e all’accorpamento delle due aliquote Irpef e ci rassicura sulla piena indicizzazione delle pensioni rispetto all’inflazione. C’è la volontà di rafforzare le risorse per la sanità e la disponibilità a sostenere il rinnovo dei contratti pubblici”.
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