“Volere è potere” diremmo ai giorni nostri o, anche, “volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” così mutuando l’espressione di un nostro letterato del ‘700 noto per essersi fatto legare alla sedia della sua scrivania pur di non distrarsi dai suoi propositi compositivi. Eppure è senza dubbio nella sua formulazione latina che questo motto gode di maggior fascino: “nihil difficile volenti”, ossia “nulla è arduo per colui che vuole”, declina infatti in maniera più lirica l’identico significato di quelle più moderne formule, sottolineando con maggior enfasi l'importanza della forza di volontà nella realizzazione degli obiettivi.
Nell’esempio che qui si riporta, il risultato pratico dell’applicazione di quel motto ha un nome ben preciso: Yurchenko doppio carpio.
Altrettanto definita è l’autrice di quel risultato, che, al contrario di Alfieri, per raggiungerlo ha avuto necessità di arti sciolti e liberi.
Lei è la ginnasta Simone Biles, e non molti mesi fa aveva fatto parlare di sé per una vicenda esattamente contrapposta a quella odierna. La sua era stata la storia di un cedimento, di una resa ad un peso troppo più grande di lei che, così leggera e minuta, era caduta sotto un fardello che le gravava mente e cuore più che le spalle.
Alla vigilia della gara a squadre di ginnastica alle Olimpiadi di Tokyo aveva perciò confessato la propria fragilità, la minaccia di quei fantasmi che le ingolfavano improvvisamente la testa, disorientandola. Niente di peggio per un’atleta che deve saper dominare lo spazio oltre che il suo corpo!
Perciò si era ritratta, rinchiusa nel suo guscio silenzioso e protetto, incapace di reggere alla pressione dei risultati attesi da un pubblico che aveva reso avvezzo ad imprese straordinarie.
Le ferite di un’infanzia dolorosa, gli abusi subiti dal suo medico sportivo, le insicurezze di un’età troppo giovane per mantenere equilibrio di fronte al successo – demoni, come lei stessa li aveva definiti, «twisties», come li chiamano gli strizzacervelli –si erano ripresentati tutti insieme, impossibili da fronteggiare con sufficiente energia. E da li, la paura: di non bastare mai, di non essere perfetta, di non essere all’altezza delle aspettative, di non poter più volare ma nemmeno riuscire a staccarsi da terra di pochi centimetri.
Ma qualche giorno fa Simone è tornata. Diversa.
Ha ora un secondo cognome aggiunto al proprio – Owens – che è quello di un campione di football americano che ha saputo evidentemente renderle ciò che ogni amore dovrebbe saper dare: la tranquillità e il sostegno.
Ma non è tutto. Anche qualcos’altro è cambiato: Simone è tornata consapevole di quella volontà che è stato il solo strumento capace infine di abbattere i suoi demoni. Una volontà talmente piena e forte che non si è limitata a riannodare la sua vita nel punto in cui la paura l’aveva spezzata, ma è andata oltre, continuando a tessere, a fortificare, a cementare una sicurezza che d’ora in poi non potrà più vacillare.
Simone è così tornata a vincere, andando oltre ogni limite, persino quelli strutturali di fronte ai quali necessariamente l’esile figura femminile è tenuta a fermarsi.
Lo Yurchenko doppio carpio al volteggio è un salto da uomini. E, no, stavolta non si tratta affatto di una discriminazione di genere: è così perché, per il tipo di movimento che richiede e la difficoltà che serve per eseguirlo, è decisamente inarrivabile per una donna.
Ma ai Mondiali di Anversa, Simone doveva prendersi la sua rivincita, e l’ha fatto nel modo più clamoroso, vincendo tante sfide in una: quella mentale, quella fisica e, soprattutto, quella dei pregiudizi.
E se anche fosse la sola, se non riuscisse a duplicare più quel risultato, poco importa: perché ha intento imparato cosa è necessario per essere vincenti, anche restando fuori dai gradini di una pedana.