L’Irlanda ha un problema molto serio con l’abuso di alcool.
Secondo le più recenti statistiche diffuse da Alcohol Action Ireland (organizzazione non governativa impegnata nella lotta alla riduzione dei livelli di danni causati dall'alcol e al miglioramento della salute pubblica, della sicurezza e del benessere), circa il 70% degli uomini e il 34% delle donne sono considerati bevitori a rischio e circa 150mila persone vengono indicate come dipendenti dalle sostanze alcooliche.
Se a tanto si aggiunge che, secondo le analisi della Commissione europea, l’abuso di alcol è collegato a circa 60 diverse malattie (tra cui sette diversi tipi di cancro che coinvolgono bocca, gola, laringe, esofago, seno, fegato e colon), ecco che l’esigenza di porre rimedio diventa una priorità indifferibile.
Già nel 2016 e ancora nel 2018, l'Irlanda aveva perciò ottenuto il via libera dell’UE a ricorrere a misure sempre più stringenti - sia di natura fiscale che relative al prezzo di vendita – finalizzate a ridurre i consumi di alcool. A gennaio dello scorso anno era stato così introdotto dal Governo un provvedimento che imponeva un prezzo minimo per la vendita di vino, birra, whisky e tutte le altre categorie merceologiche legate all’alcol. L’intento dichiarato dal Ministero della Salute doveva essere quello di ridurre malattie gravi e decessi dovuti al consumo di alcool, allentando al tempo stesso la pressione che condizioni patologiche legate ad esso avevano sui servizi sanitari.
La misura, tuttavia, non aveva sortito l’effetto sperato, considerato che in un Paese con un PIL pro capite medio di circa 80.000 dollari all’anno (cioè il doppio di quello italiano) l’imposizione di un costo minimo può al massimo produrre un effetto solletico e, tra l’altro, non impedisce il ricorso ad espedienti quali gli acquisti online presso altri Paesi dell’UE. Si chiama mercato libero!
Perciò l’Irlanda ci ha provato in altro modo, correggendo il tiro: lo scorso giugno ha difatti notificato all'UE un progetto di legge per apporre sulle bottiglie di alcoolici etichette contenenti avvertimenti sui rischi sanitari collegati al loro consumo e sul legame diretto dell’alcool con tumori mortali. La Commissione europea non si è opposta al provvedimento che, dunque - decorso il periodo di moratoria che è scaduto a fine dicembre scorso - può ora entrare in vigore. Entro il 2026, quindi, sulle bottiglie di vino e di altri alcolici venduti in Irlanda saranno apposte nuove etichette che allertano sul grave nocumento alla salute che il loro consumo può cagionare.
L’adozione del provvedimento da parte del governo Irlandese ha prontamente suscitato i timori di Italia, Francia, Spagna e di altri sei Paesi dell’UE - tra i maggiori produttori di vino -, preoccupati che, forte di un tale precedente, analoga normativa possa essere replicata dai propri governi, con dannose ricadute sulla loro produzione e sul loro mercato.
Va detto, per dovere di completezza, che nonostante l’ OMS già da tempo raccomandi l'adozione di etichette sanitarie e la Commissione europea –nell’ambito del piano contro il cancro del 2021 – avesse annunciato tra le proposte per ridurre il consumo dannoso di alcool proprio l’apposizione, sulle bottiglie, delle avvertenze sui danni alla salute, il Parlamento Europeo non è stato d’accordo e, pur accogliendo le richieste avanzate di fornire maggiori informazioni in etichetta per gli alcolici, non ha ritenuto necessaria le specifiche sanitarie.
Ciò farebbe pertanto propendere per l’infondatezza dei timori avanzati da citati Paesi e da tutte quelle organizzazioni e associazioni (per noi Coldiretti, Confcommercio, associazioni di agricoltori e consorzi di produttori di vini, toscani e trentini in primis) che nella nuova etichettatura vedono “un pericoloso precedente” che potrebbe aprire una “normativa comunitaria allarmistica e ingiustificata, capace di influenzare negativamente le scelte dei consumatori”.
Tanto detto, viene tuttavia da fare un’altra considerazione d’ordine più pratico.
I timori oggi manifestati sono né più né meno gli stessi che seguirono ai provvedimenti che hanno imposto l’”etichettatura sanitaria” sui tabacchi. Eppure, come il tempo ha dimostrato, non si è verificato alcun crollo dei consumi e delle vendite, a conferma del fatto che tra uso e abuso c’è una sottile linea di demarcazione sostenuta dal buon senso degli individui, che funziona o meno – purtroppo - a prescindere da regole e imposizioni.
In proposito mi torna in mente un aneddoto narratomi da mio fratello: un suo amico, accanito fumatore, acquistato, un giorno, un pacchetto di sigarette su cui campeggiava la dicitura “il fumo provoca impotenza”, lo rese al tabaccaio dicendogli: “cambiamelo con uno di quelli col tumore, che mi preoccupa di meno!”
Pertanto, è probabilmente infondato l’allarmismo innescatosi tra chi è sceso in campo temendo che provvedimenti emulativi di quello irlandese possano nuocere ai loro interessi economici (giacché, detto chiaramente, tra questi e quelli sanitari evidentemente non c’è partita).
Fiducia, dunque! Le botti resteranno al sicuro; il vino continuerà ad essere un tratto identitario della nostra cultura e della nostra economia; farà ancora buon sangue e, soprattutto, sarà ancora quella stilla di coraggio che agevola la “veritas” che spesso manca ai sobri.