Se per scherzo o per “apprezzamento” vi venisse in mente di esprimervi con un gesto cameratesco quale una pacca, meglio per voi che miriate alto: alla guancia o alla spalla possibilmente, perché più in basso potrebbe costarvi caro!
È la direzione che, in più di un’occasione, la Cassazione ha dimostrato di voler seguire.
La pronuncia più recente è contenuta nella sentenza 31737/2020 del 12 novembre scorso, con cui la Suprema Corte ha stabilito che integra il reato di cui all'art. 609 bis, ultimo comma, cod. pen., (violenza sessuale) chi, in modo repentino, palpeggi il gluteo di una minore, contro la volontà della medesima e senza che la vittima possa reagire o difendersi; conseguentemente ha confermato la pronuncia resa dalla Corte d'appello di Trento, sez. dist. di Bolzano con sentenza dell'11 luglio 2019, che aveva accolto il gravame proposto dal pubblico ministero e riformato la sentenza d'assoluzione resa all'esito del giudizio abbreviato in primo grado.
Ricorrendo avverso la sentenza d’appello, l’imputato aveva sollevato i seguenti motivi:
- l'erronea applicazione della norma che contempla il reato di violenza sessuale, per essere stata la condotta qualificata come atto sessuale nonostante la mancanza di prova circa la parte del corpo toccata e l'assenza del fine di libidine. Inoltre, secondo il ricorrente, a differenza del giudice di primo grado, la Corte d’Appello avrebbe omesso di valutare il contesto in cui si erano svolti i fatti e la dinamica intersoggettiva della vicenda;
- il vizio di motivazione per errata ricostruzione della vicenda e travisamento delle dichiarazioni confuse e incoerenti rese dall’unico testimone oculare, tanto più che la persona offesa non era mai stata escussa né identificata e non v'era prova circa la parte del corpo attinta dall'imputato, né prova che si trattasse di minore di età;
- proprio l’incertezza sull’età della vittima (ed il conseguente dubbio sulla procedibilità d’ufficio del reato) ed il totale disinteresse della stessa per la vicenda avrebbe dovuto indurre il giudice a interpretare in chiave di favor rei la nozione di "volontaria sottrazione all'esame" (art 526 comma 1 c.p.p) della vittima stessa, che costituisce un evidente impedimento all'affermazione della penale responsabilità.
La Cassazione ha tuttavia respinto tutti e tre i motivi – ritenuti infondati - dichiarando il ricorso inammissibile.
Secondo la Suprema Corte, infatti, le dichiarazioni del teste non erano affatto incoerenti e confuse: egli avrebbe senza incertezze ricostruito il fatto, riferendo che l’imputato
“nell'imboccare a piedi un porticato cittadino provenendo dall'adiacente carreggiata e passando vicino ad un gruppetto di ragazzini, palpeggiò il sedere di una di loro, che indossava pantaloncini corti, dandole una stretta al gluteo". A quel gesto, il testimone - che non conosceva né l'imputato, né la persona offesa - accortosi dell'intenzionalità del palpamento aveva rimproverato l'imputato, iniziando a seguirlo e avvisando frattanto le forze di polizia, poi intervenute ad identificarlo. L’imputato l’aveva pregato di lasciarlo stare perché c’era sua moglie nelle vicinanze, arrivando financo a corromperlo offrendogli del denaro.
Il gesto, per la Cassazione, costituisce senz’altro un atto di violenza sessuale (a differenza di quanto sostenuto dal giudice di primo grado che, non ravvisando il fine della concupiscenza sessuale, aveva escluso che potesse configurarsi come tale), conformemente a quanto dalla stessa ripetutamente affermato in altre pronunce, ove ha precisato che: "
ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, per attribuire rilevanza a quegli atti che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo, anche con finalità del tutto diverse, il giudice deve effettuare una valutazione che tenga conto della condotta nel suo complesso, del contesto sociale e culturale in cui l'azione è stata realizzata, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante. Per la consumazione del reato è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), essendo indifferente che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima sia riuscita a sottrarsi all'azione dell'aggressore o che quest'ultimo consegua la soddisfazione erotica. E' del pari consolidato il principio secondo cui l'elemento della violenza può estrinsecarsi, nel reato di violenza sessuale, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell'impossibilità di difendersi".
In linea con tale orientamento, dunque, anche l’elemento soggettivo del reato va diversamente considerato, e, difatti, secondo la Corte: “
non è necessario che la condotta sia specificamente finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale dell'agente, essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell'atto posto in essere volontariamente, ossia della sua idoneità a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dallo scopo perseguito”. Più in particolare, l'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale
“è integrato dal dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente".
La Corte ha infine ritenuto immotivata anche la doglianza con cui l'imputato è giunto erroneamente ad escludere la propria responsabilità penale solo perché la vittima non si è sottoposta ad esame. La disposizione dallo stesso richiamata (art 526 comma 1 c.p.p) impedisce, infatti, "
l'utilizzabilità di dichiarazioni accusatorie rese da chi si sottrae al contro-esame della difesa", non a "
soggetti che non sono mai stati escussi nel procedimento, del quale, come nella specie deve ritenersi per la persona offesa rimasta ignota".
Già con la sentenza n. 15245/2017 la Cassazione si era espressa nello stesso senso, riconoscendo che anche lo schiaffo sul sedere rientra nell'ambito delle condotte vietate dall'art. 609-bis c.p., con riferimento alla vicenda di un uomo che, a bordo di un motorino, aveva dato uno "schiaffo" sul sedere ad una donna che camminava, approfittando del fatto che la stessa era di spalle, dandosi poi alla fuga.
Anche in quella sede gli Ermellini avevano evidenziato come la
"condotta dell'imputato si era concretizzata in un palpeggiamento, e non in uno schiaffo, sia pure di breve durata, di zone erogene, comunque suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale, ritenuto irrilevante, ai fini della configurazione del reato, il conseguimento della soddisfazione erotica".
Per la Corte, in tema di reati sessuali, "
la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne lo stimolo, a prescindere dalle intenzioni dell'agente, purché questi sia consapevole della natura oggettivamente "sessuale" dell'atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria".
Pertanto, che si tratti di palpeggiamenti o schiaffi sui glutei della vittima, "
l'eventuale finalità ingiuriosa dell'agente non esclude la natura sessuale della condotta", considerandosi, tra l’altro, che "
nella nozione di atti sessuali non sono ricompresi solo quelli indirizzati alla sfera genitale ma anche tutti quelli idonei a ledere la libertà di autodeterminazione della sfera sessuale della persona offesa, quali palpeggiamenti, o in genere, toccamenti, bacio, strofinamento delle parti intime".