Si apre un mese decisivo per la riforma fiscale. I partiti hanno depositato le loro proposte. E potremmo trovarci di fronte ad un “compromesso-storico” che metta d’accordo tutti, ma incapace di prendere scelte importanti e radicali. Ma soprattutto funzionali.
Una di queste scelte dovrebbe essere l’affiancamento dell’indicatore PIL con altri indicatori standard comparati a livello internazionale allo scopo di misurare dinamiche che si vorrebbero incentivare o disincentivare.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati nazionali hanno utilizzato il PIL (Prodotto Interno Lordo) e la tassazione come unici indicatori per misurare il progresso di uno Stato ed il suo relativo peso internazionale.
L’Unione Europea, con il Next Generation EU, ha invece fatto un altro passo in avanti cercando di risolvere una criticità che era emersa già al tempo dello scoppio della bolla dei subprime prima e della crisi dei titoli di Stato poi.
Nella comunicazione del 20 agosto 2009, GDP and Beyond. Measuring progress in a changing world, la Commissione Europea definiva il PIL come “un potente e generalmente accettato indicatore per il monitoraggio delle fluttuazioni concernenti l’attività economica nel breve-medio termine, specialmente durante la recessione. […] è ancora la singola migliore misura di come l’economia di mercato sta performando. Al contrario, il PIL non è un indicatore accurato per il progresso economico e sociale nel lungo termine, ed in modo particolare dell’abilità di una società di affrontare questioni come il cambiamento climatico, l’efficienza delle risorse e l’inclusione sociale”.
Un concetto che viene ribatito nel più recente paper, pubblicato nel giugno 2021, Economic Policy Making Beyond GDP: An Introduction, in cui si sostiene l’inadeguatezza del PIL come singolo indicatore del progresso economico di una collettività proprio alla luce della pandemia, ma anche della totale inadeguatezza dei correnti sistemi di tassazione che ancora faticano a stare al passo con la globalizzazione finanziaria e dei mercati.
“Un altro argomento che è spesso utilizzato per giustificare l’uso del PIL come metrica assoluta è quella che si riferisce al tentativo di “massimizzare la dimensione della torta” in campo economico. Questo perché, in seguito il governo può, in linea di principio, appropriarsi di risorse ed indirizzarle verso obiettivi sociali, ad esempio migliorare la salute, l’istruzione, la cultura, o qualsiasi altra priorità di policy […] Tuttavia, questo argomento sembra avere perso forza a seguito della globalizzazione finanziaria, perché è dimostrato che i governi sono diventati sempre meno capaci di appropriarsi di risorse attraverso il sistema di tassazione. […] Più crescita non significa necessariamente più risorse a beneficio del settore pubblico”.
Attraverso il Next Generation EU, l’Unione Europea ha l’obiettivo di raggiungere due scopi in termini di politica economica. Che si traducono nel tentativo di raggiungere uno scopo in politica estera ed uno in politica interna.
Per quanto riguarda lo scopo in politica estera, l’Unione Europea propugna per la Green Economy, un obiettivo nobile ma che ha l’obiettivo sottile di rendere l’Europa meno dipendente dalla supply internazionale di risorse energetiche, come gas e petrolio.
Per quanto riguarda l’obiettivo di politica interna, l’Unione Europea si prefigge lo scopo di fare diventare l’economia più inclusiva e di ridurre le disuguaglianze. Questo perché “se la percezione del cittadino e’ che l’economia non stia andando bene, e quella retorica istituzionale o governativa, sulla base di dati aggregati, e’ positiva, accresce la sfiducia negli esperti. Con ripercussioni anche per quanto riguarda il supporto all’integrazione europea”. In uno studio menzionato proprio nel rapporto Economic Policy Making Beyond GDP: An Introduction si fa menzione di uno studio del politologo Dustmann del 2017, il quale dimostrerebbe che “il populismo, la sfiducia nelle istituzioni, e il sentimento anti-UE sono strettamente interconnessi”.
Questo cosa ha a che fare con la riforma fiscale?
Parecchio.
Perché noi ci muoviamo sempre nella direzione rispetto alla quale ci focalizziamo.
Dalla riforma fiscale passa l’idea che la classe dirigente si e’ fatta dell’Italia nei prossimi decenni. E, attraverso la sua strutturazione discrezionale e negoziale di premi, incentivi e disincentivi fiscali dovrà saperci dire se tra gli indicatori da accostare al PIL, il progresso ed il benessere della nostra società sarà misurato anche dalla effettiva deburocraticizzazione della pubblica amministrazione e da una ragionevole detassazione delle imprese. Cosi come da una più strutturata capacità di aprire e fare impresa e della promozione di una società del merito in cui ci sia una sana competizione (anche imprenditoriale) a favore di una cultura dell’ eccellenza e, quindi, della mobilità sociale.
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