Nel mese di luglio si è registrata la perdita di 76 mila posti di lavoro e in quello di agosto di altri 80 mila. Dunque, risulta evidente che l’occupazione procede a rilento e non a causa dello sblocco dei licenziamenti per le grandi imprese, tant’è che a luglio sono stati colpiti i lavoratori autonomi, mentre ad agosto i dipendenti a termine, soprattutto donne (85%) con la perdita di 68 mila posti su 80 mila totali.
Diminuiscono, lievemente, anche gli occupati a tempo indeterminato e contemporaneamente, aumentano gli inattivi, un chiaro segno di come non avvenga una trasformazione dei contratti a tempo determinato che garantirebbero la stabilità economica. Di conseguenza, si assiste ad un incremento degli scoraggiati cioè coloro che non credono di riuscire a trovare un’occupazione e quindi non si impegnano più a cercarla.
Nei mesi primaverili si era verificato un aumento di circa mezzo milione di dipendenti ma il calo avvenuto nella stagione estiva testimonia la difficoltà del lavoro a superare la crisi. La pandemia ha portato alla perdita di 820 mila posti di lavoro e nel mese di gennaio ne sono stati recuperati 430 mila, che sono per lo più a brevissimo termine.
Dall’indagine congiunta condotta da Istat, Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro emerge che il 72% dei contratti ha una durata inferiore a sei mesi, di questi il 32% è inferiore ad un anno. L’analisi di Bankitalia sui dati forniti dal ministero del Lavoro confuta che soltanto il 10% dei nuovi contratti, da gennaio ad agosto, è a tempo determinato.
In merito, il presidente della Fondazione Di Vittorio (Cgil), Fulvio Fammoni, ha evidenziato come questo trend negativo coinvolga soprattutto le donne, poiché si tende a non prediligere la quantità e la qualità del lavoro che dovrebbero essere considerati, invece, gli elementi più importanti per le scelte correlate all’utilizzo dei finanziamenti europei.
Mercoledì è stata approvata la Nadef ovvero la nota che aggiorna il documento di Economia e Finanza del mese di aprile, la quale stima per l’anno corrente, un aumento del Pil del 6% e dell’occupazione dello 0,8%, in seguito al calo del 2020, rispettivamente dell’8,9% e del 2,9%. A tal proposito è intervenuto Andrea Garnero, economista Ocse nonché esperto del lavoro, affermando che i dati sull’occupazione inerenti al mese di agosto, frenano l’entusiasmo rispetto ai mesi precedenti. Il divario sull’inizio della pandemia continua ad essere ampio e la situazione è incerta sotto tutti gli aspetti, nonostante i mesi estivi non siano ideali per valutare una tendenza. Tuttavia, se tale frenata dovesse verificarsi anche nel mese di settembre ci si dovrebbe interfacciare con ulteriori scenari.
Secondo il governo, nel 2022, si dovrebbe registrare un incremento del Pil del 4,2% senza interventi e del 4,7% con una manovra di bilancio espansiva, ottenuta utilizzando 22 miliardi ottenuti grazie a spese minori e al rialzo del Pil, che dovrebbe avvenire a metà ottobre. Qualora il Pil dovesse aumentare del 4,7%, di conseguenza, l’occupazione aumenterebbe del 3,3%. Senza manovra, invece, l’occupazione salirebbe del 3,1%.
Tali previsioni potrebbero essere troppo ottimistiche secondo l’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, il quale ha approvato soltanto una parte della Nadef. Inoltre, anche il presidente del Cnel, Tiziano Treu, ha evidenziato che si potrebbe incorrere nel pericolo di una “ripresa senza occupazione”, la così detta jobless recovery, un fenomeno che non interessa soltanto l’Italia.
Tra i vari fattori incerti anche l’aumento dell’inflazione, la quale secondo le Banche centrali Ue e Usa è correlata a dei fattori temporanei, ma intanto frena gli acquisti delle famiglie, in un periodo storico, nel quale la prudenza fa da padrona ai consumatori. I dati divulgati dall’Istat, nella giornata di ieri, confermano quanto appena affermato, infatti si registra un rincaro dei prezzi del 2,6% nel mese di settembre e del 2% ad agosto, l’incremento più alto da ottobre 2012.