Giunge a distanza quasi di un anno la pronuncia della Consulta sulla questione di legittimità costituzionale che il Tribunale di Lucca - con ordinanza del 14 gennaio 2022, pronunciata nel corso di un giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso - aveva avanzato, tra l’altro, in relazione ad alcune nome contenute nella Legge Cirinnà sulle unioni civili (a legge 20 maggio 2016, n. 76).
Nella narrazione del predetto Tribunale, l’attore aveva dichiarato di manifestare da diverso tempo una disforia di genere di tipo MtF (Male to Female), cioè una condizione di transessualismo che lo aveva identificato irrevocabilmente nel genere femminile – come riportato nella relazione psicologica conclusiva eseguita da un consultorio transgenere -, con conseguente necessità di procedersi all’adeguamento dell’identità fisica a quella psichica. Avendo peraltro egli contratto unione civile con il proprio partner nel 2019, aveva dichiarato altresì di aver interesse – insieme al partner stesso - alla conservazione del vincolo familiare attraverso l’automatica conversione in matrimonio per effetto della rettificazione anagrafica del sesso. Aveva perciò chiesto:
- l’autorizzazione all’intervento chirurgico strumentale alla riassegnazione del sesso, da maschile in femminile;
- la rettificazione anagrafica dei dati riguardanti il sesso e il nome;
- l’ordine al competente ufficiale dello stato civile di procedere all’iscrizione del matrimonio col partner nel relativo registro.
Il Tribunale di Lucca nell’indicata ordinanza aveva perciò sollevato la questione di legittimità costituzionale in relazione:
- all’art. 1, comma 26 legge Cirinnà:
- a. per contrasto agli artt. 2 e 117 della Costituzione e agli artt..8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu), nella parte in cui prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, senza alcuna possibilità che - previa dichiarazione congiunta dell’attore dell’altro contraente dell’unione – essa possa essere convertita in matrimonio ove la domanda di rettificazione sia accolta, sì da impedire la soluzione di continuità con il precedente vincolo;
- b. per contrasto all’art. 3 della Costituzione, stante l’ingiustificata disparità di trattamento tra lo scioglimento automatico dell’unione civile omoaffettiva, conseguente alla rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei contraenti, come previsto da detta norma, e la previsione contenuta nel successivo art. 27 delle medesima Legge che, invece, prevede che "alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso";
- dell’art. 31, comma 3 D. Lgs. n. 150 del 2011 (sulla semplificazione dei processi civili di cognizione), per contrasto agli artt. 2, 3 e 117 della Costituzione e agli artt. 8 e 14 della Cedu, nella parte in cui non prevede che l’atto di citazione introduttivo del giudizio di rettificazione sia modificato anche all’altro contraente dell’unione civile;
- dell’art. 31, comma 4 bis, D. Lgs. n. 150 del 2011, per contrasto agli stessi articoli summenzionati, nella parte in cui non prevede che anche la persona che ha proposto domanda di rettificazione di attribuzione di sesso e l’altro contraente dell’unione civile possano, fino alla precisazione delle conclusioni, con dichiarazione congiunta resa personalmente in udienza, esprimere la volontà, in caso di accoglimento della domanda, di unirsi in matrimonio effettuando le eventuali dichiarazioni riguardanti sia il regime patrimoniale che la conservazione del cognome comune, nonché nella parte in cui non prevede che il tribunale con la sentenza che accoglie la domanda, ordini all’ufficiale dello stato civile del Comune di costituzione dell’dell’unione civile o di registrazione se costituite all’estero, di scrivere il matrimonio nel registro degli atti di matrimonio e di annotare le eventuali dichiarazioni rese dalle parti relative alla scelta del cognome e al regime patrimoniale.
Va ribadito che il Tribunale di Lucca nelle propria ordinanza aveva evidenziato che l’attore aveva richiesto la rettifica dell’attribuzione di sesso nei registri dello stato civile senza essersi ancora sottoposto ad intervento chirurgico demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali, ma solo ad una terapia ormonale, e aveva dedotto di aver acquisito - indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche degli organi sessuali - l’identità di genere femminile, attraverso un processo di natura psicologica, che avrebbe attestato la definitività ed irreversibilità di tale orientamento personale. Partendo da tale premessa e rifacendosi a precedenti pronunce (della stessa Corte Costituzionale - n. 221 del 2015 – e della Cassazione - 20 luglio 2015, n.15138), il Tribunale aveva quindi rilevato che l’intervento chirurgico non costituisce una precondizione imprescindibile della pronuncia di mutamento del sesso, desumendone che «ove le circostanze di fatto allegate trovassero riscontro nella documentazione in atti e nell’istruttoria in ipotesi espletabile, l’attore vanterebbe dunque, in abstracto, la legittima aspettativa all’acquisizione di una nuova identità di genere indipendentemente dall’intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali primari». Proprio su tali basi, dunque, l’attore avrebbe avuto titolo a chiedere, in connessione logico-giuridica con la rettificazione anagrafica del sesso, che si procedesse alla iscrizione nel registro degli atti di matrimonio dell’unione civile contratta col proprio partner, supponendo che essa dovesse sopravvivere a seguito della rettificazione: Conclusione, questa, invece non ammessa dalla normativa vigente.
La Corte Costituzionale, compiendo un’attenta disamina, si è pronunciata con sentenza n. 269/2022 del 10 novembre 2022, depositata il 27 dicembre 2022, dichiarando inammissibile la questione di legittimità sollevata.
La Consulta ha anzitutto rilevato che il Tribunale di Lucca non avrebbe effettuato alcuna indagine sulla sussistenza delle condizioni richieste perché l’attore potesse essere autorizzato ad acquisire una nuova identità di genere, limitandosi ad affermare che un tale accertamento sarebbe stato possibile “in astratto”, là dove, invece, avrebbe dovuto fare applicazione della norma elevata a sospetto “in concreto” e, quindi, all’esito della accertata nuova identità dell’attore medesimo. La domanda di rettificazione era, infatti imprescindibile antecedente logico e giuridico rispetto all’applicazione della norma indubbiata, fermo il rapporto di pregiudizialità necessaria esistente tra giudizio principale e giudizio costituzionale.
Le questioni sollevate dal Tribunale di Lucca perciò difetterebbero di rilevanza per mancanza di attualità e concretezza: se i requisiti dell’attualità e della rilevanza di una questione di legittimità costituzionale devono essere valutati allo stato degli atti e dell’iter decisionale, essi non possono ritenersi integrati sulla base di un’eventuale e teorica applicabilità della norma indubbiata come invece ha fatto il Tribunale.
In secondo luogo, la Consulta ha rilevato un ulteriore motivo di inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni laddove il Tribunale ha contestato la mancata notifica della citazione introduttiva del giudizio di rettifica di sesso al partner dell’attore ai fini della sua manifestazione di volontà di convertire l’unione civile in matrimonio. A riguardo ha precisato che la disciplina vigente non avrebbe impedito che la notifica della pendenza del giudizio venisse comunque effettuata all’altro contraente o che questi intervenisse volontariamente nel processo al fine di manifestare la volontà del mantenimento del vincolo in diversa forma e senza soluzione di continuità. E, posta tale premessa, la Corte ha comunque sottolineato che vale ancora una volta il rilievo della necessità che le questioni sollevate siano concrete ed attuali affinché possano essere sottoposte alla verifica di legittimità costituzionale, il che, nella specie, equivale a dire che presupposto imprescindibile sarebbe stato l’esistenza di una dichiarazione congiunta dei contraenti dell’unione civile di convertire la stessa in matrimonio.
Alla luce di tali motivazioni parrebbe, dunque, non potersi escludere che, ove si muova da premesse concrete e attuali, la questione di legittimità costituzionale riguardo al contrasto tra gli artt. 26 e 27 della Legge Cirinnà possa nuovamente essere riproposta.