Tra dogmi, tradizioni e idee conservatrici, il mondo religioso ha perlopiù mantenuto una certa rigidità nell’adattarsi alle novità pretese dai mutamenti sociali, dalla modernità, dalle trasformazioni del pensiero e delle azioni.
Tuttavia, sotto la spinta di pontefici illuminati, lungimiranti e più consapevoli della necessità di dover virare, talvolta, verso cambiamenti che non si possono ignorare, sono stati possibili ammorbidimenti che, se talvolta possono essere sembrati ibridi malriusciti, messi a punto con una sorta d’intento cerchiobottista, sono tuttavia risultati significativi di una possibile apertura.
È ciò che è accaduto in questi giorni, con la Dichiarazione “Fiducia supplicans”, pubblicata dal Dicastero per la Dottrina della Fede e approvata dal Papa.
Si tratta di un documento con cui è stato fatto il punto sul tema delle benedizioni e sulla loro possibile impartizione alle coppie “irregolari”, per tali intendendosi sia quelle conviventi more uxorio che le omosessuali.
Ponendosi sulla scia delle risposte che qualche tempo fa lo stesso Pontefice aveva dato ai Dubia sollevati da alcuni cardinali proprio sulla possibilità di queste benedizioni, la Dichiarazione offre un’ulteriore chiarificazione più inerente al profilo pastorale che non a quello normativo della questione.
E difatti esordisce col ribadire la fermezza della dottrina tradizionale della Chiesa riguardo al matrimonio quale «unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli», non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione.
In un’ottica strettamente liturgica, dunque, la benedizione richiede che quello che si benedice “sia conforme alla volontà di Dio espressa negli insegnamenti della Chiesa” e, dato che la Chiesa ha da sempre considerato moralmente leciti soltanto quei rapporti sessuali che sono vissuti all’interno del matrimonio, non può conferire la sua benedizione liturgica quando essa possa in qualche modo offrire una forma di legittimazione morale a un’unione che presuma di essere un matrimonio oppure a una prassi sessuale extra-matrimoniale.
Tuttavia, l’obiettivo del documento è proprio quello di sganciarsi dalla prospettiva classica, di matrice strettamente liturgica della benedizione, ed offrirne una più innovativa che consenta di ampliarne la visione.
In tal senso, le benedizioni «possono essere considerate tra i sacramentali più diffusi e in continua evoluzione. Esse conducono a cogliere la presenza di Dio in tutte le vicende della vita».
Dunque, per le benedizioni pastorali - cioè quelle impartite fuori dal contesto liturgico – non si possono pretendere «le stesse condizioni morali che si chiedono per la ricezione dei sacramenti». E poiché, come aveva già invitato a riflettere Papa Francesco, quando si chiede una benedizione si sta esprimendo «una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio», questa richiesta va accolta e valorizzata al di fuori di un quadro liturgico e con un approccio maggiormente pastorale, giacché ci si trova «in un ambito di maggiore spontaneità e libertà».
Considerate dal punto di vista pastorale, le benedizioni assumono dunque valore di atti di devozione che trovano il loro spazio al di fuori dei Sacramenti. E questo tipo di benedizioni si offrono a tutti, senza chiedere nulla.
Del resto, “anche quando il rapporto con Dio è offuscato dal peccato, si può sempre chiedere una benedizione”, come si fa peraltro nelle carceri e nelle comunità di recupero.
“Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso – conclude il documento - la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio.”
In questi casi, si impartisce una benedizione per il solo fatto di riconoscersi indigenti e bisognosi dell’aiuto divino, non rivendicandosi la legittimazione di uno status, ma mendicando che tutto ciò che di vero di buono e di umanamente valido è presente nella propria vita e nelle proprie relazioni “sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo.”
Tuttavia, proprio per evitare qualsiasi forma di confusione o di scandalo, quando la benedizione, benché espressa al di fuori dei riti previsti dai libri liturgici, sia chiesta da una coppia in una situazione irregolare, non potrà essere impartita “contestualmente ai riti civili di unione e nemmeno in relazione a essi. Neanche con degli abiti, gesti o parole propri di un matrimonio. Lo stesso vale quando la benedizione è richiesta da una coppia dello stesso sesso.”
Tale benedizione può invece trovare la sua collocazione in altri contesti, quali la visita a un santuario, l’incontro con un sacerdote, la preghiera recitata in un gruppo o durante un pellegrinaggio.
È evidente quanto sia lontano il tempo dell’Inquisizione e del conflitto di poteri, e sia invece ormai strutturato quel principio costituzionale che vuole lo Stato e la Chiesa “ciascuno nel proprio ordine indipendente e sovrano”.
È la formula pacifica ed efficace che consente convivenza e reciproco rispetto, senza tuttavia disdegnare – all’occorrenza – l’individuazione di punti di contatto pretese dall’evoluzione dei tempi ed indispensabili a garantire la conservazione di un equilibrio.
Con buona pace di chi intravede in certe aperture soltanto compromessi di comodo.