Secondo Maurizio Leo, il vice ministro del Mef, il “Concordato Preventivo Biennale”, istituito con il Dlgs 13/2024, doveva essere l’arma totale per riuscire a stanare gli irriducibili dell’evasione, quelli che per il fisco non esistono o riescono comunque a nascondere buona parte di ciò che intascano.
In pratica, si tratta di una sorta di “accordo di non belligeranza” fra fisco e contribuente: il primo calcola in modo preventivo la tassazione sui guadagni sulla base dei dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, il secondo è tenuto ad accettarla di buon grado, ricevendo in cambio la certezza di non ricevere controlli e visite inaspettate.
Il meccanismo si basa quindi sull’offerta di un biennio di pace alle Partite Iva soggette agli “ISA” (Indici di Affidabilità Fiscale), e uno ai lavoratori autonomi con reddito inferiore a 85mila euro all’anno che rientrano nella flat tax. Il meccanismo è semplice: nel tentativo di far emergere il “nero”, il Fisco assegna un livello reddituale maggiore rispetto a quello dichiarato dal contribuente, e chi accetta ha l’ulteriore certezza che la tassazione rimarrà quella stabilita anche in caso di guadagni superiori, potendo così far emergere l’eventuale nero. L’obiettivo è spingere i contribuenti soggetti agli Isa con voto “8”, che indica inaffidabilità ed alto rischio di evasione, a raggiungere il “10”, cifra che fin dai tempi della scuola rappresenta il massimo possibile. A tutto questo c’è da aggiungere che l’avvento del concordato biennale è destinato a mandare finalmente in pensione il “Redditometro”, il fastidioso sistema di accertamenti calcolati sul tenore di vita dei contribuenti.
Eppure, il patto con il Fisco al momento non sembra riscuotere l’adesione che al Mef avevano preventivato, probabilmente reso difficile da digerire se visto dalla parte dei contribuenti, costretti ad accettare redditi e imposte molto maggiori rispetto ai periodi d’imposta precedenti, e reso ancora più ostico dal rischio di siglare un patto senza tutele in caso di eventi imprevedibili come malattie, infortuni o cause che possano ridurre improvvisamente i redditi. Buona parte dei timori si concentra anche sugli effetti nefasti dell’inflazione e sulla difficile situazione geopolitica internazionale, con le guerre che inevitabilmente influiscono sulle attività economiche.
Cifre alla mano, a tre settimane dalla partenza, il concordato biennale preventivo destinato agli autonomi - da cui ci si aspetta un incasso aggiuntivo di 2 miliardi di euro - è fermo al palo: al momento hanno aderito un misero 2% dei 4,5 milioni di partite Iva potenzialmente interessate, mettendo così a rischio la sopravvivenza della riduzione delle aliquote Irpef per il ceto medio.
Ufficialmente partito il 15 giugno scorso, per aderire al CPB c’è tempo fino al prossimo 31 ottobre, con l’aggiunta di un’offerta lancio che per il primo anno assicura uno sconto del 50% sul dovuto. Secondo il parere espresso in Commissione Finanze al Senato da Salvatore Regalbuto, tesoriere del Consiglio nazionale dei commercialisti sul decreto correttivo che entro il prossimo 1°agosto dovrà concludere l’esame parlamentare preventivo: “Una tassazione piatta modulata in base al punteggio dei soggetti Isa che aderiscono al concordato potrebbe essere il grimaldello per renderlo più attrattivo e per incentivare l’adesione. Portare tutti i contribuenti a un voto pari a 10 riduce la platea degli interessati perché chi ha un voto inferiore al 6 difficilmente è invogliato ad accettare l’offerta del fisco”.
In pratica, i commercialisti suggeriscono la creazione di una flat tax al 10% sulla differenza di reddito fra quanto dichiarato dal contribuente e quello calcolato dall’Agenzia per quanti hanno una pagella Isa dall’8 in su. La tassa piatta salirebbe di conseguenza al 12% per un voto tra il 6 e l’8 e al 15% per chi sta sotto il 6, considerato inaffidabile. “È un’idea di buon senso che può rendere il concordato più appetibile”, ha commentato Massimo Garavaglia della Lega.
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