Dopo un anno intero di confronti serrati fra gli operatori del settore e il Mimit, la bozza con i 10 articoli che racchiudono la riforma della rete di distribuzione dei carburanti si è arenata sui tavoli del Consiglio dei Ministri.
Una rivoluzione in chiave green, come piace all’Europa, che forte di un fondo triennale di 140 milioni istituito presso il Ministero dell’Ambiente, prevede incentivi per la riconversione degli impianti di rifornimento esistenti entro il 31 dicembre 2027 in stazioni di ricarica per veicoli elettrici.
Il contributo, che copre il 50% delle spese, avrà un tetto massimo di 60mila euro per impianto, con un bonus di 10mila in più in presenza di almeno una pompa dedicata a biocarburanti liquidi o gassosi.
Ma prima dell’annuncio dello slittamento del DDL, è scattata la vigorosa protesta delle organizzazioni che rappresentano i gestori degli impianti, pronti a minacciare la serrata quanto a marciare compatti contro quella che in una nota congiunta Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa, ha definito “la più incauta e peggior riforma da quando in questo Paese sono cominciati i rifornimenti ai veicoli. Si distrugge l’ultimo anello della catena per premiare le compagnie petrolifere che nel corso degli ultimi 3/5 anni hanno chiuso bilanci con utili mostruosi. Chi poteva ipotizzare che avremmo dovuto attendere il governo Meloni per riuscire a distruggere quello che si è costruito in decenni?”.
Voci opposte dalla Unem, associazione delle aziende del settore petrolifero, secondo cui il testo è “Un passo importante per la razionalizzazione della rete” e da Assoutenti, che si dice soddisfatta, mentre l’Unc si limita a chiedere di ridurre la concorrenza.
Sul piano politico, PD e 5Stelle bollano la riforma come “un disastro, con testo che sembra costruito apposta contro gli operatori e i consumatori arrivando alla follia dell'eliminazione della differenza tra il prezzo del carburante servito e quello self”.
Secondo la norma, dal 1° gennaio 2025, oltre ai tradizionali carburanti fossili, i nuovi impianti dovrebbero prevedere la distribuzione di “almeno un altro vettore energetico alternativo”, pena il rifiuto di concessioni e permessi che scatterebbe anche di fronte alla mancata dimostrazione di “capacità tecnico-organizzativa ed economica necessaria a garantire la continuità e la regolarità nell'espletamento del servizio”.
Per i gestori, uno dei punti dolenti è anche la precarizzazione dei contratti “applicati a discrezione delle compagnie senza alcuna contrattazione della parte economica e normativa: finti contratti di durata quinquennale che possono essere disdettati con 90 giorni di preavviso”. Ma le critiche riguardano anche il meccanismo delle bonifiche, la procedura di compatibilità ambientale e la “schizofrenia incomprensibile” che prevede la cancellazione della norma che obbligava a indicare la differenza fra prezzo self e servito “che a spanne vale oltre un miliardo di euro per le compagnie”, rispetto all’obbligo di esporre il prezzo medio regionale.
A fronte di un “confronto sempre ricercato con un Governo che però non aveva alcuna intenzione di avviarlo, non resta altra strada che la contrapposizione dura al disegno del Governo ricercando, con i gruppi parlamentari di maggioranza ed opposizione le necessarie convergenze. Appena assegnato il DDL al ramo del Parlamento individuato, le Federazioni di rappresentanze dei Gestori fisseranno iniziative sindacali e tempi e modalità di svolgimento di un’azione di chiusura di tutti gli impianti. Stradali ed autostradali con manifestazioni nel territorio”.
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