La questione risale alla scorsa estate, quando il Comitato Cura Domiciliare Covid, presieduto dall’Avv. Erich Grimaldi, ha proposto ricorso al TAR Lazio avverso la Circolare del Ministero della Salute sulla "Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2" (emanata il 30 novembre 2020 e da ultimo aggiornata al 26 aprile 2021) – nota come “protocollo Speranza” - che, riprendendo e linee guida promulgate dall'AIFA, ha illustrato le modalità di gestione domiciliare del paziente affetto da COVID-19 da parte del Medico di medicina generale e del Pediatra di libera scelta sulla base delle conoscenze disponibili all’attualità.
Nello specifico, la Circolare ha fornito raccomandazioni relative alla gestione farmacologica dei casi lievi di Covid-19, evidenziando che, per queste ipotesi non è indicata alcuna terapia, al di fuori di una eventuale trattamento sintomatico di supporto: “utilizzare un trattamento di tipo sintomatico con paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso, o altri farmaci sintomatici su giudizio clinico”. Ha inoltre introdotto la valutazione sui pazienti da indirizzare nelle strutture di riferimento per il trattamento con anticorpi monoclonali; ha dato indicazioni più accurate sull'utilizzo dei cortisonici; ha specificato gli usi inappropriati dell’eparina e ha chiaramente indicato i farmaci da non utilizzare. Infine, per i soggetti o asintomatici o paucisintomatici, ha esplicitato il concetto di "vigile attesa", consistente nella sorveglianza clinica attiva e nel costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente.
Il Comitato ricorrente (che, come si legge nel suo sito, si batte affinché “ venga stabilito un protocollo nazionale di cura domiciliare e venga rafforzata la medicina territoriale, anche attraverso la creazione in ogni Regione delle unità mediche pubbliche di diagnosi e cura domiciliare del Covid-19 (USCA) previste dalla legge nazionale ma istituite solo in alcune Regioni”) ha chiesto l’annullamento dell’indicata Circolare nella parte in cui,
“nei primi giorni di malattia da Sars-Cov-2, prevede unicamente una “vigilante attesa” e somministrazione di fans e paracetamolo e nella parte in cui pone indicazioni di non utilizzo di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da Covid”.
In occasione della Camera di Consiglio tenutasi il 4 agosto 2021, il Collegio ha disposto, a mente dell'art. 55, comma 10 del codice del processo amministrativo, la fissazione della discussione del ricorso all'udienza di merito fissata per il successivo 7 dicembre, in cui è stato alfine trattenuto in decisione.
La relativa sentenza – pronunciata dalla Sezione Terza Quater del TAR Lazio - è stata quindi pubblicata lo scorso 15 gennaio ed è stata di pieno accoglimento del ricorso.
Primariamente il TAR ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Ministero della Salute secondo cui la nota AIFA, recepita nella circolare ministeriale, ha una sua autonomia giuridica e non è stata autonomamente impugnata.
A riguardo il TAR ha osservato che, nel momento in cui l’indicata raccomandazione è stata pedissequamente mutuata nella circolare ministeriale, essa ha perso ogni singolare valenza, compresa una sua autonoma esistenza giuridica ed ha costituito, pertanto, la sola motivazione del provvedimento contestato.
Ciò posto, il TAR ha proseguito affermando che “
è onere imprescindibile di ogni sanitario di agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito. La prescrizione dell’AIFA, come mutuata dal Ministero della Salute, contrasta, pertanto, con la richiesta professionalità del medico e con la sua deontologia professione, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie da questi ultimi eventualmente ritenute idonee ed efficaci al contrasto con la malattia COVI 19”.
In sostanza, ha ritenuto che il contenuto della nota ministeriale, imponendo ai medici puntuali e vincolanti scelte terapeutiche, si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale.
La pronuncia ha suscitato molto clamore, anche se qualcuno ha osservato che le indicazioni contenute nella Circolare impugnata – emanate durante i primi mesi della pandemia - sono da considerarsi di fatto già superate (indipendentemente dalla pronuncia del TAR) con l’avvento dei vaccini e dei guariti e, dunque ,di un’accresciuta percentuale di immunizzati che riduce di conseguenza l’entità del contagio e delle sue conseguenze.
Senonché Il Ministero della Salute avverso la decisione del TAR ha presentato ricorso al Consiglio di Stato, che gli ha dato ragione.
Con decreto del 19 gennaio scorso, ha difatti ritenuto:
- che la circolare impugnata contiene, spesso con testuali affermazioni, “raccomandazioni” e non “prescrizioni”, cioè indica comportamenti che, secondo la vasta letteratura scientifica, sembrano rappresentare le migliori pratiche, pur con l’ammissione della continua evoluzione in atto;
- che, di conseguenza, non emerge alcun vincolo circa l’esercizio del diritto-dovere del medico di medicina generale di scegliere in scienza e coscienza la terapia migliore, laddove i dati contenuti nella circolare sono semmai parametri di riferimento circa le esperienze in atto nei metodi terapeutici a livello anche internazionale;
- che, dunque, la sospensione della circolare, lungi da far “riappropriare” i medici di medicina generale della loro funzione e delle loro inattaccabili e inattaccate prerogative di scelta terapeutica (che l’atto non intacca) determinerebbe semmai il venir meno di un documento riassuntivo delle “migliori pratiche” che scienza ed esperienza, in costante evoluzione, hanno sinora individuato, e che detti medici ben potranno, nello spirito costruttivo della circolazione e diffusione delle informazioni scientifico-mediche, considerare come raccomandabili, salvo scelte che motivatamente, appunto in scienza e coscienza, vogliano effettuare, sotto la propria responsabilità (come è la regola), in casi in cui la raccomandazione non sia ritenuta la via ottimale per la cura del paziente.
Ha dunque accolto il ricorso e concesso la sospensione dell’esecutività della sentenza del TAR fino alla discussione collegiale, che ha fissato alla Camera di Consiglio del prossimo 3 febbraio.
Dunque, la querelle sui punti più discussi delle linee guida ministeriali relative alla cura dei pazienti Covid-19 non gravi rimane ancora aperta.