In tre anni appena, la voragine del Superbonus ha ingoiato 170 miliardi di euro: per capirne l’estensione, è sufficiente pensare che la manovra di bilancio 2024 varata dal Governo si è assestata su 24 miliardi, che diventano 28 aggiungendo i primi decreti attuativi della delega fiscale.
Una cifra abnorme, destinata ad avere sensibili ripercussioni sul debito pubblico per i prossimi tre anni, costando al Paese una media che si aggira sull’1,8% del PIL e che nel triennio scorso, fra il 2020 ed il 2023, hanno già avuto un peso specifico pari allo 0,5% del Prodotto Interno Lordo.
Il dato è emerso dall’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio) pochi giorni fa, nel corso dell’audizione presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato, accompagnato da considerazioni e possibili soluzioni a commento del dibattito sul DDL AS 1092 di conversione del DL n. 39/2024: “La differenza tra i risultati e le attese è stata macroscopica nel caso del Superbonus e non ha precedenti. Vi hanno contribuito fattori evidenti sin dalla sua introduzione - sebbene difficilmente prevedibili nell’entità degli effetti - legati alle caratteristiche specifiche della misura e altri che sono sopraggiunti come conseguenza di queste”.
Quattro, secondo il documento dell’UPB, le cause che hanno inciso in modo così pesante sull’eredità a lungo rilascio del Superbonus: la percentuale elevata dell’agevolazione, così alta da eliminare il contrasto di interessi tra acquirente e fornitore; l’aumento dei massimali di spesa, molto più alti rispetto a quelli previsti per altri interventi sugli immobili; l’inserimento di interventi trainanti con aliquote più elevate rispetto a quelle previste da altre agevolazioni e infine la nefasta possibilità di scegliere fra lo sconto in fattura e la cessione del credito, allargando così a dismisura la platea dei beneficiari.
“Il Superbonus e, in misura minore, gli incentivi alle imprese Transizione 4.0 hanno inciso marcatamente sui conti pubblici degli ultimi anni lasciando anche una pesante eredità sul futuro. I loro effetti finanziari risultano superiori a quelli attesi nelle stime ufficiali per l’intero periodo di validità delle misure”.
Un’esperienza pagata a caro prezzo che, per forza di cose, costringe a ripensare in modo drastico alle agevolazioni edilizie future, come ad esempio una nuova tornata “a sportello”, ottenibile solo dopo la presentazione e l’analisi dettagliata della domanda. Ma in proposito, lo stesso UPB si è spinto a suggerire possibili punti fermi da considerare in un futuro prossimo, primo fra tutti aliquote che non permettano più di spostare l’intero ammontare della spesa sulle spalle dello Stato, oltre all’adozione di strumenti di selezione più stringenti accompagnate da un capillare monitoraggio dei cantieri sul territorio.
Non sono da escludere, sempre secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’utilizzo di contributi diretti alla spesa su specifici capitoli, come ad esempio gli interventi di efficientamento energetico, misure che tuttavia dovranno essere parametrate attentamente sul reddito dei beneficiari e la classe energetica. Per finire con la necessità di introdurre paletti come i limiti di spesa, le autorizzazioni preventive e i prestiti agevolati per i lavori. Proposte che in parte erano già state ventilate dal Direttore del Dipartimento Finanze del Mef Giovanni Spalletta, anche in considerazione delle nuove regole di governance europee, che vietano espressamente le misure agevolative automatiche prive di autorizzazione.
“Il Superbonus, risultava sensibilmente differente dalle agevolazioni precedenti di cui si conoscevano gli effetti. Per la prima volta veniva consentita la copertura integrale dei costi aumentando l’appetibilità della misura ed eliminando sostanzialmente il conflitto di interessi tra fornitori e acquirenti, con conseguente convenienza a massimizzare la spesa fino a raggiungere gli importi massimi agevolabili, fissati a livelli più elevati rispetto a quelli previsti per altri interventi di incentivo riguardanti gli immobili”.
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