Il primo Decreto Legge del nuovo anno – il D.L. n. 1 del 2 gennaio 2023, subito ribattezzato dai media “codice di condotta delle ONG” – ha dettato “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”: tre articoli appena che - se si escludono quelli che riguardano l’invarianza finanziaria discendente dal provvedimento e la sua entrata in vigore – concentrano in uno soltanto il succo della norma e le polemiche che ne sono immediatamente conseguite.
Il decreto pare porsi in linea di continuità, da un lato, col dato fattuale che ha riguardato la vicenda dello scorso ottobre della Ocean Viking, alla quale, dopo che aveva soccorso alcuni migranti, era stato negato l’approdo sulle nostre coste; dall’altro, col dato testuale di una precedente norma, il c.d. Decreto Lamorgese (D.L. n. 130/2020 convertito in L. 173/2020) che ha previsto che Ministro dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture - di concerto tra loro e sentito il Presidente del Consiglio - possano limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica. A tal ultimo riguardo, il nuovo testo normativo in apparenza parrebbe soltanto introdurre requisiti più stringenti in relazione ai casi in cui il Governo non può disporre il divieto di approdo, e precisamente che:
- a) la nave che effettua in via sistematica attività di ricerca e soccorso in mare operi in conformità ad autorizzazioni o abilitazioni rilasciate dalle competenti autorità dello Stato di
- bandiera e sia in possesso dei requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione;
- b) siano state avviate tempestivamente iniziative volte a informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale e, in caso di interesse, a raccogliere i dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità;
- c) sia stata richiesta, nell'immediatezza dell'evento, l'assegnazione del porto di sbarco;
- d) il porto di sbarco assegnato dalle competenti autorità sia raggiunto senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso;
- e) siano fornite alle autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane, ovvero, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle autorità di pubblica sicurezza, le informazioni richieste ai fini dell'acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata dell'operazione di soccorso posta in essere;
- f) le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non abbiano concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco.
Ma, leggendo tra le righe, l’intento che parrebbe trapelare dalla norma risulta essere altro: contenere i numeri delle richieste di protezione internazionale assegnate all’Italia e - a dirla brutalmente - boicottare gli interventi di salvataggio delle navi delle ONG.
Il segnale in proposito è rinvenibile in quel “senza ritardo” (lettera a) con cui la norma esige sia raggiunto il porto di sbarco assegnato, ribadito dal “tempestivamente” del successivo punto f) che implica che le modalità di soccorso impiegate dalla nave non devono concorrere a rallentare il raggiungimento del porto stesso.
Tradotto in termini espliciti, ciò equivale a dire che la nave che ha già effettuato un primo soccorso non può farne un altro né è possibile il trasbordo dei naufraghi da una nave all’altra, per impedire che quella rimasta libera possa nuovamente ripartire per compiere nuovi soccorsi.
Non pare essere, questa, un’interpretazione forzata, tant’è vero che, di fronte alle proteste che si sono sollevate circa l’incostituzionalità della norma ed il suo contrasto con la Convenzione ONU sul diritto del mare del 1982 (che prevede l’obbligo, a carico del comandante di una nave, di prestare soccorso in favore di chiunque si trovi in mare in condizioni di pericolo, laddove la norma in questione esigerebbe, invece, che il comandante di una nave che ha prestato soccorso ed è diretta al porto assegnato, tiri dritto “senza ritardo”, omettendo di effettuare ulteriori salvataggi), il ministro degli Interni ha precisato che le navi delle ONG possono soccorrere persone «lungo la traiettoria del percorso che gli viene assegnato».
Altro aspetto di dubbia legittimità della norma è la prescrizione che impone la compilazione a bordo delle domande di protezione internazionale (lettera b) poiché parrebbe cozzare con quella che stabilisce che a bordo di una nave si applichi il diritto dello Stato di bandiera (e non il diritto italiano!), senza perciò considerare che il diritto dello Stato di bandiera potrebbe prevedere una diversa competenza per la compilazione delle suddette domande.
Allora la riflessione che segue forse non è del tutto peregrina: è lecito dubitare che un provvedimento così strutturato celi una ben precisa strategia anti-migranti giungendo al paradosso di criminalizzare la solidarietà?
Neanche a farlo apposta, proprio martedì scorso la Geo Barents ha tratto in salvo 69 naufraghi al largo delle coste libiche, e, quando “nell’immediatezza dell’evento” ha chiesto l’assegnazione del porto di sbarco, le è stato indicato quello di La Spezia. Distante cento ore di navigazione, cioè quattro giorni.
“È per favorire la rotazione dei porti”, si è detto. Ma sta di fatto che tra opportunità e necessità ci sono di mezzo vite umane, sulla cui pelle già provata e stremata ricade la fatica di un’ulteriore attesa e di una traversata supplemantare.
Per fortuna, però, c’è sempre una qualche Provvidenza che alle trovate umane frappone condizioni ed imprevisti che ne mutano l’intento. E stavolta l’imprevisto si è presentato sotto forma di imbarcazioni alla deriva nel Mediterraneo Centrale, giust’appunto sulla rotta della Geo Barents diretta al “porto assegnato” di La Spezia. Così gli operatori di Medici senza Frontiere non ci hanno pensato su due volte ed hanno tratto in salvo altri migranti, giungendo ad un totale di 237 persone.
Il tutto, evidentemente, nel pieno rispetto delle Convenzioni internazionali ma anche di quella precisazione data dal nostro Ministero dell’Interno, senza perciò che si sollevassero contestazioni riguardo ad un eventuale avvenuta violazione del codice delle ONG.
Ma, al di là della coincidenza più o meno fortuita che, nel caso concreto, ha reso possibile un salvataggio multiplo, è mai pensabile che un mezzo attrezzato per quel tipo di intervento, con a bordo persone che hanno giurato di vocare la loro professione alla cura della vita umana, consapevoli, peraltro, di avere dalla loro parte norme di rango più elevato rispetto a quelle dettate dal provvedimento “necessario e urgente” di turno, possano abiurare alla loro coscienza ignorando la condizione di pericolo di misere vite erranti tra i flutti?
È un atto di disobbedienza, certo, ma tra i più nobili, poiché si fonda su una consapevolezza e un valore che spesso si tendono a dimenticare: tra diritto e umanità non può esserci scelta.