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Pìetas

Autore: Ester Annetta
La pìetas, nel mondo antico romano, era un sentimento potente, una qualità universale, in cui si coniugavano devozione verso gli dei, amore verso la famiglia, affetto per la patria e gli amici. Era, altresì, una ben precisa virtù personale, in cui confluivano magnanimità e clemenza, senso della giustizia e del dovere.

In maniera più ampia, significava aver cura degli altri, specie i più deboli e gli emarginati, vittime delle diseguaglianze sociali.
In tale accezione il termine non corrisponde più all’attuale significato di “pietà”, perlopiù sinonimo di compassione, mentre potrebbe avvicinarsi di più al concetto di rispetto.

Ma tanto nel suo originario significato, quanto in quello attuale, pìetas e pietà sembrano essere sentimenti quasi estinti o quanto meno desueti.
È l‘amara constatazione alla quale non sfugge la considerazione di certi episodi che denunciano altresì una progressiva ed inesorabile perdita di umanità, soprattutto quando sulla necessità di agire prevale l’inerzia del restare passivi spettatori.

C’è una storia accaduta qualche settimana fa, che è emblematica di quanto sin qui espresso e che solleva interrogativi sull’incontrollabilità ormai acclarata di erte derive.

Racconta l’ennesimo dramma di migranti, meno risonante rispetto a tanti altri che contano numeri elevati – l’ultimo proprio di pochissimi giorni fa - giacché riguarda stavolta il destino di un singolo.

Era un ragazzo di appena 17 anni, il cui nome resterà tragicamente sconosciuto, un numero o una sigla su una semplice croce.

Viaggiava su una carretta del mare che avrebbe potuto portare al massimo 20 persone e che invece ne conteneva 60. Doveva aver pagato il “biglietto” meno costoso, perché gli era stato assegnato un posto sottocoperta, dove si respirano i fumi del carburante e si è compressi dai corpi degli altri sciagurati compagni di viaggio.

Fuggiva dalla Libia, da solo, ed era rimasto in quel posto, in quelle pericolose condizioni, per dieci lunghe ore, sostenuto unicamente dalla speranza di arrivare infine in una terra libera.

Invece non è andata così. Quando la Sea Watch 5 ha soccorso la barca su cui viaggiava, l’hanno trovato privo di sensi, ustionato, intossicato e schiacciato dalla calca. Pure altre quattro persone erano malconce, con segni di intossicazione e ustioni. I soccorritori hanno perciò immediatamente inviato una richiesta urgente di soccorso ed evacuazione sanitaria dell’imbarcazione alle autorità italiane, che per tutta risposta hanno replicato di rivolgersi alla Tunisia. Questa, a sua volta, ha rifiutato di assumersi qualsiasi responsabilità.

Perciò, due ore dopo l’intervento della Sea Wath il diciassettenne è morto.

Ma non è ancora finita, giacché, quando nove ore dopo la chiamata, la Giardia Costiera Italiana è finalmente arrivata, ha preso a bordo gli altri quattro migranti feriti per portarli a Lampedusa, ma ha rifiutato di prendere anche il corpo del ragazzo, sostenendo che dovesse rimanere sulla Sea Watch fino a Ravenna, ossia il “porto assegnato” - come previsto dal codice di condotta delle Ong varato a dicembre 2022 - distante 1500 km, dunque altri 4 giorni di navigazione.

Ma la Sea Watch non ha celle frigorifere; perciò il corpo del ragazzo è rimasto sul ponte, refrigerato “a mano” dall’equipaggio, con l’utilizzo di placche di ghiaccio sostituite ogni quattro ore.

Quanto si è parlato di questo episodio? Poco o nulla.

Soltanto la Sea Watch ha insistito nel fare clamore, nel denunciare attraverso i propri social l’assurdità e la disumanità di quel rifiuto, lontano da ogni logica, da ogni buon senso, dalla pìetas e dalla pietà. E così la notizia ha cominciato a circolare, ad attrarre l’attenzione del popolo social, a rimbalzare di profilo in profilo, raccogliendo critiche, biasimo e dissenso.

Infine qualcosa è accaduto. Dai vertici ministeriali romani, dopo il primo giorno di navigazione verso Ravenna, è giunta notizia che il corpo del diciassettenne sarebbe stato prelevato e sbarcato a Pozzallo.

Il ragazzo è dunque arrivato, è approdato nella terra promessa, ricca e libera, dove ha trovato però soltanto quiete e riposo in una tomba, anziché speranza ed opportunità.

E nemmeno quella è stata un’impresa semplice, però. Come sulle vesti di Cristo hanno tirato a sorte, così sulla sua “accoglienza” si sono sfidate, in un ignobile rimpallo di responsabilità, autorità e paesi che hanno perso completamente il senso dell’umana compassione e, soprattutto, del rispetto.
 © FISCAL FOCUS Informati S.r.l. – Riproduzione Riservata

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