19 novembre 2018

Accertamento: effetti dell’adesione in sede penale

Autore: Giovambattista Palumbo
L'art. 13 D.Lgs. 74 del 2000 subordina esplicitamente il beneficio della non punibilità all'integrale pagamento degli importi dovuti. L'intera disciplina premiale connessa al pagamento del debito tributario si fonda peraltro sull'integrale pagamento dello stesso e non può invece conseguire al mero accertamento con adesione, cui consegua il pagamento dilazionato del dovuto, anche considerato che l'interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente.

Il caso - La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la Sentenza n. 51038 del 09/11/2018, ha chiarito quali sono i riflessi dell’adesione in sede penale.

Nel caso di specie, la sezione per il riesame del Tribunale di Roma aveva rigettato l'appello proposto dal ricorrente avverso l'ordinanza con cui il Gip del Tribunale di Velletri aveva respinto l'istanza di riduzione del valore del sequestro preventivo disposto su beni dell'indagato, in ordine al reato di cui all'art. 5 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

L’indagato proponeva quindi ricorso per cassazione avverso detta ordinanza, deducendo violazione dell'art. 2 del D.Lgs. 218 del 1997, non avendo l'ordinanza considerato che, in forza di tale disposizione, essendo intervenuto accertamento con adesione circa la rideterminazione sotto soglia dell'imposta evasa, per quell'anno il reato ipotizzato non era più punibile, sicché il valore del sequestro preventivo si sarebbe dovuto corrispondentemente ridurre.

Con un secondo motivo di ricorso si lamentava poi l'assenza di motivazione del provvedimento impugnato, sia, per le ragioni di cui sopra, quanto alla mancata riduzione del valore del sequestro (non essendo in alcun modo pertinente il rilievo contenuto nell'ordinanza circa la "mancanza di affidabilità dell'accordo con l'Agenzia delle Entrate"), sia quanto all'espressa richiesta di dissequestro delle quote della società, avanzata al fine di poter mettere in vendita un immobile onde poter pagare l'intero debito tributario oggetto di concordato e respinta dal Tribunale con motivazione solo apparente.

La decisione - Il primo motivo di ricorso, secondo la Suprema Corte, era infondato.
Evidenziano infatti i Giudici di legittimità che la disposizione invocata dal ricorrente prevede che «l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio e non rileva ai fini dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni, nonché ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. La definizione esclude, anche con effetto retroattivo, in deroga all'articolo 20 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati previsti dal Decreto-Legge 10 luglio 1982, n. 429, convertito, con modificazioni, dalla Legge 7 agosto 1982, n. 516, limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento; la definizione non esclude comunque la punibilità per i reati di cui agli articoli 2, comma 3, e 4 del medesimo decreto-legge» (art. 2, comma 3, D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218).

L'esclusione della punibilità era quindi effettuata con la tecnica del rinvio materiale alle disposizioni di legge, che, prima dell'approvazione del D.Lgs. n. 74/2000, sanzionavano penalmente le violazioni in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Il D.Lgs. 74 del 2000, all'art. 25, comma 1, lett. d), ha però poi abrogato quel - diverso - sistema penale tributario (vale a dire l'intero titolo I del DL 516/1982, conv., con modiff., in L. 516/1982), togliendo conseguentemente efficacia alle disposizioni che, come il citato art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 218 del 1997, facevano ad esse riferimento.

La stessa Corte evidenzia inoltre che il fatto che l'accertamento con adesione non spieghi alcun effetto penalmente rilevante risulta chiaramente dalla disciplina tributaria delineata nel D.Lgs. 74 del 2000, sia prima, sia dopo le modifiche ad essa apportare dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

In particolare, infatti, tale condotta non vale ad escludere la punibilità ai sensi dell'art. 13, comma 2, D.Lgs. 74 del 2000, come sostituito dall'art. 11 D.Lgs. 158 del 2015, che, per il reato oggetto d'indagine - così come per il delitto di dichiarazione infedele - prevede quell'effetto soltanto «se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali».

A differenza poi di quanto previsto dal novellato art. 13, comma 1, D.Lgs. 74 del 2000 per i reati di cui agli artt. 10 bis, 10 ter, 10 quater - che, presupponendo una fedele dichiarazione cui consegua soltanto l'omesso versamento dell'imposta dovuta, non sono punibili se l'integrale pagamento del debito tributario, comprensivo anche di sanzioni ed interessi, pur se intervenuto a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado - per i reati previsti dagli artt. 4 e 5 D.Lgs. 74 del 2000 l'integrale pagamento del dovuto deve avvenire ancor prima che l'autore del reato abbia formale conoscenza dell'inizio di procedimenti amministrativi o penali.

E, in ogni caso, al di là della diversa disciplina connessa al tipo di illecito circa l'individuazione del termine entro cui il ravvedimento deve intervenire, gli effetti della nuova causa di non punibilità - che la stessa Corte ha già ritenuto essere applicabile ai fatti commessi precedentemente all'entrata in vigore del D.Lgs. 158 del 2015 ed ai procedimenti già pendenti anche qualora, alla data predetta, fosse già stato aperto il dibattimento di primo grado - si producono comunque soltanto al momento dell'integrale pagamento del debito e degli accessori, non essendo dunque sufficiente il mero accertamento con adesione.

Conclusioni - L'art. 13 D.Lgs. 74 del 2000, come novellato subordina dunque, esplicitamente, il particolare beneficio all'integrale pagamento degli importi dovuti e, al terzo comma, prevede anche il rinvio del processo prima della dichiarazione di apertura del dibattimento per consentire a chi stia per terminare il pagamento rateizzato del dovuto di fruire della causa di non punibilità cui abbia diritto, ovvero di poter invocare la circostanza attenuante di cui all'art. 13 bis, comma 1, D.Lgs. 74/2000 e/o di poter richiedere l'applicazione concordata della pena senza incorrere nel divieto previsto dal comma successivo.

Nessun dubbio, dunque, che l'intera disciplina premiale connessa al pagamento del debito tributario (e degli accessori) si fondi sull'integrale pagamento dello stesso e non possa invece conseguire al mero accertamento con adesione, cui consegua il pagamento dilazionato del dovuto, posto, peraltro, che l'interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente.

In campo penale, peraltro, conclude la Corte, l'accertamento con adesione non spiega effetto neppure sul piano probatorio, posto che, ai fini della prova del superamento della soglia di punibilità prevista per i reati tributari, il Giudice non è vincolato, nella determinazione dell'imposta evasa, all'imposta risultante a seguito dell'accertamento con adesione o del concordato fiscale tra l'Amministrazione finanziaria ed il contribuente (Cass, n. 5640 del 02/12/2011).

Stante l'irrilevanza del suddetto accertamento, anche al più limitato fine dell'accertamento dell'imposta evasa, dunque, era infondato anche il secondo motivo di ricorso, oltre che inammissibile per genericità, posto che se non sussistevano i presupposti per poter ridurre l'importo del sequestro preventivo per equivalente, non poteva farsi questione del motivo per cui il provvedimento impugnato aveva specificamente escluso il dissequestro delle quote della società.
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